Legami

L’espressione “Sei sangue del mio sangue” sembra dire tutto, esprimere, a pieno, l’indivisibilità, l’appartenenza alla medesima “essenza” …
Stasera, più che mai, la sento riduttiva, povera … ridicola!
“Sei sangue della mia anima”, questa è quella giusta, in grado di dare risalto ai miei sentimenti.
Radici comuni, fiori dello stesso ramo … che idiozia!!!!
Sei entrato nella vita dei miei genitori, quando non ero ancora nemmeno tra i loro pensieri, facendogli assaporare una genitorialità precoce … amando … serbando, tra le pieghe del cuore, una fetta di te da regalare a chiunque.
Esiste parentela più vera … più importante? Il sangue dell’anima, spesso, è più forte e sfida spazio e tempo, sapendo di sopravvivere. Oggi che il tuo passo inciampa, sono io a mettere il cuore nelle mani di Dio, a chiedere che ciò che hai dato e dai sia boomerang e che tra le tue mani metta la carta più alta … per vincere la partita della vita.
– Carla –

 

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L’infermità mentale di alcune …

… donne, mi sconcerta!
La scena si svolge sul marciapiede di una strada trafficata, nei pressi di un negozio gremito (Black Friday), entrambi sono vestiti in modo impeccabile e, decisamente, curati.
Lei: – Ci guardano tutti, non fare una scenata, ti prego! –
Lui: – ZITTA!!!!! Sei solo una mxrdx!!! –
Lei: – Sono solo 10 euro, non ti arrabbiare … –
Lui: – Ti ho detto di stare zitta, sei solo una mxrdx senza cervello!!! –
Lei: – Possiamo parlarne a casa? –
Lui: – Parlo dove e quando mi pare, non ho bisogno del tuo permesso, CRETINA!!! –
In un rimbalzo di parole, sempre più offensive e aggressive da parte di lui, condite con imbarazzo e sottomissione da parte di lei, osservo impietrita, distogliendo lo sguardo da una vetrina che anticipa il Natale, ad una distanza di non più di 20 metri. Il “signore” (solo negli abiti) non contento delle percosse verbali, d’improvviso abbassa il tono della voce, farfuglia qualcosa e, afferrandola per un braccio, la strattona, strappandole dalle mani un pacchetto. Farsi i cavolacci propri, in alcuni casi, porta a vivere sereni, ma le brave persone non sempre lo ricordano, come è capitato alla signora che, per aver domandato alla tizia “ Ha bisogno di aiuto?”, si è beccata la risposta acida di lui, impastata con un “fatti i caxxi tuoi!”. Per me già questo è abbastanza, ma la realtà non teme di scavalcare l’umana tolleranza e di proporre una moglie, che nel sentirla chiamare “bifolco” la sua metà, le si rivolge inviperita per difenderlo.
Ehhhh va beh, “demente”, ma allora dillo che la tua massima aspirazione, oltre ad assassinare in compagnia di uno strunz la buona educazione, è fare lo zerbino!
– Carla –

Non è vero … ma ci credo?

Stanotte, giusto per ricordarvi che sono isolana e non farvi sentire la nostalgia dei miei “raccontini” insoliti, vi trascino nel mondo delle antiche “Mixinas” (medicine) sarde. Alcune, più che cure per alleviare o sconfiggere mali, sono talmente preoccupanti da farmi pensare ai riti degli “Stregoni” di popolazioni sperdute in luoghi lontani. Non sto parlando dei rimedi della nonna che costano un niente, si realizzano con ciò che si racimola casa e, non di rado, sono una mano santa, ma di “mezzi & azioni” discutibili.
L’ernia vi tormentare? Detto, fatto!!! (mi sento la Balivo)
La vostra presenza non è necessaria, al guaritore/trice basterà sapere come vi chiamate e dove è localizzata l’ernia. Attesa la luna calante, si recherà davanti ad un albero di fico, si farà il segno della croce e spezzerà un rametto che, subito dopo, riunirà con una benda bianca, alla parte rimasta attaccata al  tronco. Effettuato il bendaggio, reciterà per 3 volte una formula:
“Commenti si sardat cust’arrampu de figuera, aicci sanit tutu su mali de (nome) chi portat in  …” (Come si salda questo rametto di fico, così guarisca tutto il male di (nome) che ha nel …) seguita dal “Credo” cattolico.
Vogliamo raccontarlo ad un ortopedico e aspettare che chiami il C.I.M????
Le tonsille si sono trasformate in due palle da tennis?
“Is gutturonis” (tonsillite) hanno le ore contate … Basta poco che ce vo? (eccomi in versione Giobbe Covatta). Fatto il segno della croce, il/la “celebrante” prenderà i polsi della persona sofferente e massaggiando con vigore, con il pollice bagnato di saliva, reciterà 3 volte :
“Setti funti is gutturonis, de setti torrint a sesi, de sesi torrint a cincu, de cincu torrint a quattru, de quattru torrint a tresi, de tresi torrint a dusu, de dusu torrint a unu, de unu torrint a nudda, ancu mai lux’e soli ti torrit a biri”. (Sette sono le ghiandole, da sette tornino a sei, da sei tornino a cinque, da cinque tornino a quattro, da quattro tornino a tre, da tre tornino a due, da due tornino a uno, da uno tornino a niente, che mai luce di sole ti ritorni a vedere). Lo ripeterà per tre giorni consecutivi, concludendo col “Credo”.
Sapevo dei miracoli della bava di lumaca, ma di quella umana non ne ero a conoscenza!!!
Il nervo sciatico si è infiammato? Basteranno tre pezzi di corteccia di ramo di fico, precedentemente lasciati a bagno in acqua, da posare sopra la coscia (vicino all’inguine), sopra il ginocchio e sopra il piede del malato, la formula, recitata alle sue spalle:
“In nomine Deus, su mali de sa sciatica de (nome) attacchini a sa figu e arruara a terra” (Nel nome di Dio, il male della sciatica (nome) si attacchi al fico e precipiti a terra), aiutarlo a mettersi in piedi, affinché i pezzetti cadano,  e ripetere tre volte, a luna calante, riutilizzando gli stessi pezzi di corteccia.
E per finire ciò che ho visto fare più volte da qualche anziana e che mi sciocca non poco, l’esorcismo per far passare i porri! L’albero di fico è presente in una delle due varianti, tanto per stupirvi, ed è il suo latte, da passare sul porro, a compiere la magia. Detto il “Credo”, per tre volte, si recita:
“(nome) su Signori ti ndi pighiri custu porru. Commenti si siccat custa figu, aicci si sicchit su porru tuu” ((nome) il Signore ti porti via questo porro. Come si secca questo fico, così si secchi il porro tuo), lasciando che il fico si secchi al sole, prima di gettarlo a bruciare nel fuoco. Il rito alternativo ha per protagonisti dei frammenti di carne, tanti quanti sono i porri, ciascuno avvolto in pezzo di carta e seppelliti in una zona in cui, chi li ha, non passerà. Detta la formula:
“Commenti purdiat custa pezza aicci purdint is purru de (nome)” (Come marcisce questa carne così marciscano i porri di (nome)) si recita il “Credo”.
Amo la mia terra, i suoi profumi, la sua storia e la solarità della sua gente, ma queste cose, tribali, credetemi, mi fanno orrore!!!
– Carla –

A casa di Julie

La casualità, la rosa di video che youTube mette in primo piano, mi ha fatto conoscere Julie. Uno sguardo malinconico, il timido tentativo di tracciare la curva di un sorriso e la descrizione, con la semplicità di chi le ha contate e ne ha chiari i limiti, delle buche di un percorso dove ad ogni salita non corrisponde una immediata discesa, una donna con un universo interiore da sfogliare. In quel video e in molti altri, con la generosità di chi ha affrontato un viaggio, importante, per lunghi tratti in solitaria, consapevole di quanto possa essere ingombrante la zavorra di una mancata condivisione, ha spalancato il cuore, offrendo parole che possono farsi armi, con cui uccidere sconforto e senso di oppressione. Sussurrando “Sono solo graffi, puoi farcela, ignorali e continua a camminare …” ha esibito il rincorrersi di fragilità e determinazione, mostrando la linea di un traguardo, valicato con successo, che può esser terra di conquista per tutti. Mi è bastato inciampare in una prima live per non disdegnare tutte le altre e commentare in diretta, per mettere a fuoco una persona con la quale è piacevole comunicare, dalla quale si può imparare tanto e alla quale, data l’umiltà, è possibile insegnare. Julie è bizzarra quando canta, spigolosa quanto tenta di farsi valere, tenera quando piange, splendida quando ride e immensa quando mette a disposizione competenze e umanità che non sempre si riescono a trovare. “Casa di Julie”, quotidianamente, spalanca le porte ad un piccolo seguito di affezionati, di amici, mi sento di scrivere, ai quali dispensa suggerimenti, non lesinando mai del tempo prezioso, regalando, senza nulla pretendere, lo stimolo per volersi bene e rincominciare a guardarsi allo specchio, senza desiderare di fuggire. Volutamente, lo avrete notato, non ho specificato il suo mestiere, menzionato il nome del canale o i nomi di chi ne fa parte, un po’ per un innocente sentimento di tutela di un angolo di pace, dove sembrano dissolversi commenti in differita e visualizzazioni, un po’ perché sta a lei, nel caso lo volesse, estendere l’invito a venirla a scoprire. Agli amici, come me, offro carta bianca per tratteggiare la sua sensibilità e una gioia di vivere che flette ma non si spezza, per confermare che il tempo trascorso insieme è riflessione ma anche ridere di cuore.
– Carla –

Giornata Mondiale in difesa del bambino

I bambini sono dardi d’amore scoccati dalla vita, la parte incorrotta di un’umanità imbastardita, “angeli” che aspirano a volare, con il compito inattuabile di ricondurci ad un  lontano candore. Proteggerli, sostenerli e amarli non dovrebbe essere un dovere, ma una necessità irrinunciabile, il senso autentico del vivere pienamente l’amore. Cercarli, come l’acqua che spegne la sete, attenderli, come una carezza d’infinito, un sogno da rincorrere solo con addosso una sana consapevolezza e non un irrazionale individualismo. Lo stato di “non madre” non mi ha sterilizzato il cuore, tutt’altro, mi ha portata a sentirli preziosi, unici, i destinatari di quel “meglio” che noi adulti, non di rado, non riusciamo ad identificare. Nel venire al mondo, non tutti lo ricordano, si portano appresso uno zaino carico di necessità, inizialmente primarie, che esplodono come bombe a frammentazione. Un pomeriggio, in spiaggia, un ragazzo senegalese, che vendeva borse e teli mare e con il quale ero solita chiacchierare, mi raccontò delle sue difficoltà economiche, di avere tre mogli e un numero considerevole di figli. Domandai, con il dovuto rispetto, come sopravviveva all’incertezza, all’angoscia di non possedere i mezzi con i quali sostenere, serenamente, la famiglia, restando senza parole nel sentirlo rispondere – Dobbiamo popolarlo questo mondo, qualcuno i figli li deve pure fare! –  I pensieri, nel correre veloci, rivalutarono qualcosa che, fino ad allora, avevo ritenuto iniquo, il divieto (decaduto), imposto dal governo cinese, di concepire più di un bimbo per famiglia. Chi ama i cuccioli d’uomo, li ama davvero, non si affida unicamente alla Provvidenza, “ragiona”, non aggiungendo posti a tavola, dove sa che servirà solo “lacrime e stenti”!
– Carla –

 

Chi di voi è senza peccato …

Chissà cosa sognavano i ragazzini che varcavano le porte di Palazzo S. Carlo, uno dei tanti splendidi edifici del Vaticano, e quale meraviglia sperava d’abbracciare Kamil. 13 anni, la fede che bussa alle pareti del cuore, la sete di Cristo e la gioia di poterla colmare, la consapevolezza di essere destinatario di un privilegio, entrando a far parte del preseminario San Pio X, e una “grazia” che si trasforma in “martirio”. Bambini, adolescenti, affidati alle amorevoli cure di chi li ha traditi, sfruttando la loro innocenza per procurarsi piacere, per mettere a tacere la voce di una perversione demoniaca, distante da qualsiasi forma di rispetto e d’amore. La Casa di DIO, un luogo in cui le ombre aggrediscono la luce, in cui nella bilancia della realtà non si conosce il peso del bene e del male. Non mi si può chiedere di cambiare idea su una “Famiglia” che, sempre più spesso, insabbia l’orrore, sente, vede e si volta dall’altra parte! Gesù disse – Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei – Sono una peccatrice ed in mano stringo un sasso, spigoloso, acuminato, reso tale dal disgusto e dalla rabbia! La tentazione è di lanciarlo, per colpire e far male, per far crollare, come un barattolo del tiro a segno del Luna Park, chi non è degno nemmeno di sentir parlare del Signore … – Confessami i tuoi peccati! – … – Ma fammi il favore!!! – Il rischio è di andarli a raccontare a chi ha molto, molto, molto di più da farsi perdonare e non ha nessun diritto di dirmi – Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen –
– Carla –

Abusi? Ricatti Morali? Compromessi?

La premessa, in questa circostanza, è d’obbligo, affinché il mio discorso non venga equivocato e non affiori una figura che non esiste, quella di una donna poco orientata a schierarsi dalla parte delle donne. La violenza, fisica o psicologica, lo “schifo” senza confini tangibili, non sono prodotti da banco, con impressa la data di scadenza, ciò che, superato il termine, va cestinato e dimenticato. La sofferenza delle vittime, il disagio che le scorterà lungo i sentieri del vivere e che ne influenzerà le scelte, non cessano, macerano nell’anima, aggredendo la bellezza dei panorami che si susseguono. L’orco non deve mai sentirsi al sicuro, credere di poter perpetrare azioni che meriterebbero la sua evaporazione dalla faccia della terra, ma temere il cadere di una mannaia che oscilla sopra testa e tutte le conseguenze che ne derivano. Per qualcuno, la morte non è una, non coincide con il silenzio di un cuore che smette di battere, la morte è un appuntamento che si ripete ed ha occhi, voce e il sorriso beffardo di chi si muove impunito. Un abuso, un ricatto morale, non hanno attenuanti, chi li ha subiti ha il diritto di portarli alla luce quando crede, in ragione di una vergogna insormontabile o di timori reali, senza che qualcuno punti il dito e sentenzi, non conoscendo dinamiche e capacità di reazione. Il punto è un altro … si tratta sempre di soprusi o di compromessi, di situazioni condivise e poi ribaltate per convenienza? La “bestia” esiste (nessuno afferma il contrario) e artiglia la preda come fosse inanimata, quasi mostrare due cm di pelle in più equivalesse a strillare “sbranami”, nondimeno, esiste anche la “finta preda” che fa del – dammi e ti darò – il passepartout per aprire più velocemente ogni porta. Le relazioni lavorative non si programmano ai limiti di una camera da letto, ma in luoghi che lasciano poco spazio a pensieri ambigui. Gridare “aiuto” dopo aver varcato, consapevolmente, la tana del lupo, non suscita grandissima solidarietà, me ne rendo conto e disapprovo, per quella parte di me poco razionale che si piega davanti al pianto, ma comprendo chi guarda da un’angolazione diversa, quella giusta!!! Dire NO, potrà non aprire “quelle” porte ma, di sicuro, saprà forgiare le chiavi per spalancare tutto il resto …
– Carla –

Diritti d’autore? Seeee …!!!!

Ci sono “Fiabe & Fiabe”, lo ripeto da quando ero bambina, e per alcune non ho mai nascosto una certa antipatia. Cenerentola è una di queste! Sarà per la morale dalle diverse sfaccettature, sarà perché non ha una trama particolarmente originale e scorrevole, ma in me scatena la noia … eppure … non solo giunge da lontano ma, nel corso di valangate d’anni, è stata “ladrata”, rimpastata e riproposta più di una volta. Sono io ad avere gusti anomali … deduco questo!!!
La 1° versione arriva dall’Egitto, dal VI secolo a.c. per l’esattezza, periodo della XXVI dinastia faraonica, e la protagonista, RODOPI, è una avvenente schiava di stirpe tracia. Mal tollerata dalle altre schiave, per la pelle chiara e le origini, all’insaputa del padrone, diviene oggetto di terribili soprusi che diventano ancor più pesanti quando, dopo averla vista danzare, le regala un paio di pantofole d’oro rosso. Un giorno, il Faraone Amasis invita l’intera popolazione ad una solenne celebrazione, nella città di Menfi, occasione in cui potranno essere presenti tutti, servi compresi. RODOPI gradirebbe esserci ma le altre donne, divorate dall’invidia, pur di impedirglielo decidono di incaricarla di svolgere un’infinità di faccende domestiche. Intenta a lavare i panni al fiume, viene sorpresa da Horus (che ha assunto sembianze di falco) il quale, adocchiate le pantofole lasciate al sole, le ghermisce con gli artigli e, spiccato il volo, viaggia fino a Menfi, lasciandole cadere nel grembo del Faraone. L’accaduto, interpretato come un messaggio degli Dei, spinge il sovrano, navigando lungo il Nilo, ad intraprendere la ricerca della fanciulla che le calzi alla perfezione, identificando in RODOPI colei che diventerà la sua sposa.
La 2° versione è stata scritta da Giambattista Basile (contenuta nella raccolta “Lo Cunto de li Cunti” del 1634/36), è il sesto passatempo della prima giornata di Cunto ed ha come protagonista una bambina, ZEZOLLA, che dietro suggerimento della maestra, che desidera diventare la sua nuova matrigna, uccide la malvagia seconda moglie di suo padre. Fiduciosa di ritrovare la felicità perduta e l’amore incondizionato di una mamma, la piccola, esegue alla lettera le direttive della donna, ritrovandosi a dover convivere non solo con una nuova strega ma anche con due sorellastre, di cui ignorava l’esistenza. Suo padre, che era un Principe, prima di partire per un improvviso viaggio in Sardegna, chiese alle figliastre, e poi alla figlia, quale dono volessero in ricordo di quell’isola, rammentandosi, però, di accontentare solo le prime due. Giunto alla nave, per un oscuro motivo, non riuscirono a salpare, così, il capitano decise di riprovarci il giorno successivo e di andare a dormire. Il sonno non fu per nulla tranquillo e uno strano sogno, popolato da una Fata, gli fece capire a che erano rimasti a terra a causa della promessa mancata del Principe. Bastò sentire il racconto del marinaio e l’uomo andò nella Grotta delle Fate, dove una donna gli consegnò il regalo mancante: 1 Dattero, 1 Zappa, 1 Secchiello d’oro e una Pezza di seta. Il primo, ZEZOLLA, doveva piantarlo e con il resto averne cura … e così fece. Dal dattero, diventato albero, spuntò una Fata, colei che poteva esaudire il desiderio di lasciar casa di nascosto e non passò molto tempo prima che ciò avvenisse, in occasione di una festa. Sopra un cavallo bianco, vestita come una vera principessa, non vendendo riconosciuta da nessuno, trascorse una serata meravigliosa, felice delle attenzioni del Re che, conquistato da tanta grazia e bellezza, chiese al servitore di seguirla. 4 monete gettate per terra, la prima sera, perle e gioielli, la seconda, il diversivo per una sicura via di fuga! ZEZOLLA, pensava d’essere al sicuro ma non lo era, perché al piede le mancava una scarpetta …
… da qui in poi la storia è nota!!!
La 3° versione è di Charles Perrault (contenuta nella raccolta “I racconti di Mamma Oca” del 1697), la protagonista è CENDRILLON, figlia di un Gentiluomo che, in seconde nozze, sposa la madre di due ragazze. La Trama non è molto diversa da quella che la maggior parte di noi conoscono. Un Re, la Comare (Fata) che aiuta CENDRILLON ad andare al ballo, la Zucca che diventa la Carrozza Dorata, i 6 topolini i cavalli e 1 di 3 toponi giganti il Cocchiere, i rintocchi delle 11 e ¾ , la fuga ed, infine la perdita della PANTOFOLA di vetro. Il lieto fine è sempre lo stesso!!!
La 4° versione, del 1812, è dei Fratelli Grimm, la protagonista si chiama ASCHENPUTTEL e i personaggi si ripropongono, ricalcando gli stessi ruoli.
Il padre di ASCHENPUTTEL, prima di recarsi ad una fiera, domanda alle due figliastre ed a lei, quali regali possano gradire, ricevendo dalle prime una risposta scontata, perle e gemme, e dalla figlia una insolita, ovvero, il primo rametto che avrebbe urtato il suo cappello, lungo la strada del ritorno. Ricevuto un ramo di nocciolo, lo piantò sulla tomba della madre e le lacrime, che lo bagnavano quotidianamente, lo tramutarono in un albero, visitato da un uccellino che si sarebbe rivelato il suo più grande aiuto. Il Re proclama 3 giorni di festa, durante i quali il figlio avrà la possibilità di incontrare la sua futura sposa, eventi che la matrigna ritiene all’altezza solo delle sue figlie. La figliastra la supplicherà più volte, per ottenere il permesso di andarci, assicurandosi solamente di doversi umiliare per superare con successo, ma inutilmente, due prove. Trovare, in 1 ora, in un piatto colmo di cenere, le lenticchie buone (l’aiutano colombe e tortorelle, mangiando quelle cattive) e, successivamente, raccogliere un piatto di cenere e due di lenticchie buone. L’albero del pianto, che accoglie il dolore di ogni sua delusione, nasconde l’uccellino che, finalmente, è in grado di aiutarla, vestendola di oro e argento, pronta per recarsi alla festa … La scarpetta da restituire alla legittima proprietaria è presente anche questa volta, con la sola variante che, ferendosi, la indossa con forza una delle sorellastre. Sarà la vista del sangue a svelare l’inganno e a permettere ad ASCHENPUTTEL di sposare il Principe.
La 5° versione è CINDERELLA della Disney (1950), quella della mia infanzia. Un ricco aristocratico, la figlia ELLA (Cinderella), la sua seconda moglie, Lady TREMAINE, le sue figlie, GENOVEFFA e ANASTASIA, la madrina, FATA SMEMORINA e il Granduca MONOCOLAO, che ha il compito di rintracciare la futura sposa del Principe, i protagonisti. La sola variazione è la scarpetta di cristallo che va in frantumi, per colpa della matrigna, e Ella che ne rivendica il possesso, mostrando quella che porta al piede.

“Copiare”, a quanto pare, è una nobile arte che affonda le radici nel passato!!!
– Carla –

Hikikomori

Vi capita mai di scivolare in una chiacchierata, di sentire una o più parole nuove e di non sapere, nemmeno alla lontana, di cosa si tratta? A me sì, in modo particolare quando le persone coinvolte, intendendosi, ne parlano a spizzichi. La parola “Hikikomori”, per quanto mi riguarda, poteva esser di tutto, dal dolce ad una disciplina di rilassamento orientale, ad un personaggio Anime, mai avrei pensato di accostarla ad una persona. Nel reperire informazioni (sono curiosa, si sa!) ho scoperto che si tratta di un termine giapponese che, tradotto, significa “stare in disparte, isolarsi”, un fenomeno che colpisce adolescenti o, comunque, giovani. L’Hikikomori, sceglie di rinunciare alle relazioni sociali, di non oltrepassare i confini della propria abitazione o, addirittura, di isolarsi tra le mura di una cameretta. I contatti, vis-à-vis, là dove esistono, si limitano al nucleo familiare stretto e, unicamente, per far fronte a bisogni primari, scalzati dalla navigazione in rete, dall’affacciarsi al mondo attraverso una finestra virtuale. La quotidianità s’interrompe per un tempo che si dilata, arrivando ad abbracciare anche un decennio, falsando i sensi e creando un vuoto affettivo difficile da rammendare. Patologia? Emulazione? E se, invece, fosse solo ribellione? La realtà, purtroppo è innegabile, diventa sempre più inospitale!
– Carla –

Chi è l’animale?

Da bambina, quando mi chiedevano di definire l’amore che lega le persone, incitata dallo slancio del cuore, non avevo alcuna difficoltà ad intrecciare una moltitudine di fili di parole. Da adolescente, l’insegnante d’italiano, m’accusò d’aver fatto scrivere, a mio padre (è da lui che ho ereditato la passione per la lettura e la scrittura), un testo nel quale dar corpo alla mia idea di affezione … Erroneamente, riteneva improbabile che, a 15 anni, avessi messo da parte i dubbi ed i perché, per alcuni ombra della propria immagine! Crescendo, quella rosa di parole ha iniziato ad assottigliarsi, ad essere divorata dall’umana pochezza, erosa dall’inettitudine ad ascoltare, osservare e liberare spazio per accogliere, elaborare e restituire la meraviglia dell’autentico AMARE. Dono, conscia che chi mi somiglia, spesso, è un inceneritore e che il “diverso” sa e insegna, a sordo-ciechi senza memoria. Forse, sono una di loro, una “diversa”, e solo per errore indosso panni assurdi, scomodi, che conoscendo inizio ad odiare.

https://youtu.be/INa-oOAexno

– Carla –

2 Novembre

Dovrebbe essere una giornata come tante … il risveglio, il caffè, la doccia e, come le perle che compongono una collana, incolonnati, gli impegni quotidiani, inseguendo il tramonto fino a raggiungerlo. Invece non lo è!!! Il pensiero, oggi più che mai, spalanca una porta che si affaccia in una dimensione sconosciuta e che, in realtà, non si chiude mai. Nitido il volto di chi l’ha varcata per ultimo, tenero il sorriso di chi l’ha preceduto, preziosi i ricordi e gli insegnamenti di chi ha dovuto, suo malgrado, sceglierla quale nuova dimora. Profumi, sguardi, parole avvinghiate ad un abbraccio, discorsi appesi al cielo, in attesa di un punto d’arrivo che non ci sarà. Ciascuno, oltre al vuoto dell’assenza, ha lasciato qualcosa di sé nella mia anima, un’orma di felicità per averlo incontrato, vissuto, per aver condiviso la stessa strada a lungo o solo per un attimo.
– Carla –