Il Tempo “viaggia”, non attendendo il passo di chi non comprende ed accoglie la sua amicizia, non apportando alcuna modifica a traiettorie che, altrimenti, la vita pone tra le mani di ogni uomo. Il Tempo, imprigiona il passato che, a dispetto del tragitto, contamina il presente, portando con sé quel che toglie consistenza all’anima e fa di qualcuno (in alcune zone del pianeta) ancora una merce di scambio. Diritti demoliti per omaggiare qualcuno che si elegge padrone, che trova nella debolezza di chi soccombe la linfa per edificare la propria, miserabile, grandezza. Antica Roma, una ragazzina, poco più che una bambina … https://youtu.be/jWLNA7DFi50
A tante, troppe, donne è ancora negata la possibilità di scegliere cosa fare della loro vita … di inseguire un sogno e sperare di afferrarlo per la coda.
Al termine dell’esposizione, dettagliata, di Alberto Angela (uno dei miei miti) ho domandato a mia madre (85 enne) quali fossero le consuetudini sarde, ai suoi tempi e quelli di mia nonna, interessata a scoprire di quanto si discostano dalla mia realtà e da quella attuale. Lei, nonostante la relazione con mio padre sia iniziata nel 1954, ha goduto di una modernità pazzesca, attraversando le dinamiche di oggi, e di sua madre sa soltanto che (orfana di madre con la nascita e di padre a 2 anni) a 18 anni sposò un contadino, povero in canna, scelto col cuore, il principe azzurro che, dopo aver incrociato i suoi grandi occhi neri, la liberò dallo sfruttamento di uno zio (lavorava fin da bambina, dalla mattina alla sera, tra l’emporio e casa, ricevendo solo vitto e alloggio). Suoi ricordi, montati come un mosaico, e ricerche in rete hanno ricostruito quanto segue.
L’attrazione “visiva” tra due ragazzi nasceva in circostanze limitate, in altre parole, la domenica in occasione della messa o in luoghi dove venivano svolte le attività quotidiane, vale a dire, nelle vasche del paese dove si lavavano i panni, alle fontane dove si riempivano d’acqua le brocche o nei campi. Lo scambio di poche frasi, un gioco di sguardi che sostituiva le parole e i 2, consci dell’interesse reciproco, potevano considerarsi impegnati … “fastiggianta” (da fastiggiu, l’equivalente di flirt). Vedersi per pochi istanti, alla lunga, stancava la coppia e portava la ragazza a credere di essere alle prese con chi non voleva stringere un legame serio, era necessario, quindi, passare al livello successivo. Compariva la figura di una persona che il pretendente riteneva assennata e stimata, il “paralimpu” (il sensale), a cui affidava il compito di recarsi a casa dei futuri suoceri (o dei parenti affettivamente più vicini alla ragazza) per comprendere se erano favorevoli ad accettarlo in famiglia. In caso di riscontro positivo, di proposta matrimoniale accolta, sarebbe ritornato con l’aspirante marito, rendendo ufficiale “s’intrada” (l’entrata). Non sarebbe trascorso molto tempo dall’incontro per definire la data delle nozze e la dote della sposa. Tra i doni di fidanzamento, oltre all’anello, in alcune zone, comparivano altri monili e una chiave che manifestava l’ingresso esclusivo nel cuore e il possesso della nuova casa. Alcuni giorni prima del SI, era d’obbligo, con l’aiuto di tutti i parenti ed amici, compiere il trasloco del corredo nella casa coniugale, caricando sui carri, trainati da buoi ed abbelliti, i pezzi più ingombranti e quelli più fragili in cestini da portare a mano. Il corteo si sarebbe mosso a tempo di musica, grazie a fisarmonicisti ed abili suonatori di launeddas, e la ragazza più avvenente avrebbe custodito la “brocca della sposa” che, il giorno delle nozze, l’angelo del focolare, avrebbe riempito per la prima volta. Una tradizione (la reputo idiota e quasi vandalica), modificata nei mezzi usati ma non nel grezzume, che resiste ancora oggi, era quella di fare (ai 2 poveracci, devastati dalla giornata) scherzi che impedissero di consumare, nell’immediato, l’intimità, disseminando grano e zucchero tra le lenzuola. (ndr solitamente si ha talmente tanto sonno che “patata e cetriolo” si ripongono in frigo, desiderando solo un sonno rigeneratore). La musica accompagnava anche la lavorazione, a casa della sposa, di dolci, pane e quanto altro sarebbe stato servito ai commensali il grande giorno. “Sa di e sa coja” (il giorno del matrimonio), il padre dello sposo accompagnava suo figlio a casa di lei da dove, dopo aver ricevuto gli auguri di ogni bene, rigorosamente a piedi, il corteo si spostava in chiesa. A fine celebrazione, fuori dal luogo sacro, fatto 3 volte il segno della croce, sui 2 giovani, veniva gettato il contenuto di un piatto, sale (sapienza), grano (abbondanza) e petali di fiori (salute) e poi rotto gettandolo al suolo. Sposi e ospiti si spostavano a casa loro o in quella della sposa per festeggiare, talvolta per giorni, secondo la disponibilità economica. In alcuni paesi, come augurio reciproco di un buon inizio di cammino coniugale, gli sposi banchettavano condividendo lo stesso bicchiere e piatto, il tutto arricchito dall’immancabile musica, danze folkloristiche e il canto di muttetus. La lista nozze all’epoca era una sconosciuta, i regali consistevano nell’indispensabile per l’inizio della vita di coppia, animali da cortile, generi alimentari, pezzi di corredo, avuti in precedenza e restituiti finemente ricamati. E il viaggio di nozze? I più fortunati si concedevano un tour nei più noti santuari sardi.
– Carla –
Archivio mensile:agosto 2017
Il suicidio del Bon Ton
Il Bon Ton si è tolto la vita e deve averlo fatto in solitudine, “istigato” dall’ennesima umiliazione, dopo aver visto incenerita un’altra pagina di buone maniere. La notizia è certa e quel che non disgusta, tutt’altro, dipinge un sorriso sul volto di chi gradisce la creanza, è l’impegno del suo spirito che vaga non trovando pace. Cavolate a parte, in quanta gente assurda s’inciampa, TUTTI I GIORNI? E non parlo di bambini, portati ad imitare le persone trash con cui, purtroppo, condividono gli spazi vitali, ma di adulti, “rozzolitici” paurosi, spesso, immersi in abiti griffati che emanano odore di bucato e di profumo, ornati di preziosi. Non dico che si debba bere esibendo il mignolino paralitico, pulirsi la bocca sfiorandola appena con gli angoli del tovagliolo o storcere il naso per il nulla, per tutto quello che non è “aristocratico”, ma un minimo di civiltà, quella che ci distingue (dall’essere che espleta, senza remore e in qualsiasi condizione, ogni bisogno primario, scarico merce incluso), la pretendo. Sarò io ad attirare il “primate”, il sostenitore accanito dello stadio primordiale? Direi di sì, altrimenti non si spiega come mai possa annoverare una collezione di situazioni da “oddio vomito”! L’ultima, fresca di ferragosto, si è svolta in spiaggia. Una bambina era stata punta da una medusa ed un adulto, per aiutarla (si fa per dire), le espettorava l’anima sulla parte dolorante. Da quando in qua gli sputazzi sono cortisonici? Quanto può essere piacevole diventare il bersaglio di proiettili di saliva? La povera piccina piangeva più per la “medicina” che per la striata rovente … lo avrei fatto pure io, nonostante la “stagionatura”, schifata fino al midollo. Non sono una principessa e il Bon Ton, sicuramente, non lo conosco rigo per rigo (nemmeno vorrei, perché talune regole sfociano nel ridicolo, trainandosi appresso la preistoria) ma la villania e le schifezze, che impastano scarsa igiene e la mancanza di rispetto altrui, annientano la mia tolleranza.
Mi ripugna, in modo assurdo, …
– vedere chi monda le cavità nasali con le dita e, successivamente, fa i pallozzi del “pil”;
– la “scatarrata” in luoghi in cui sono presenti altre persone, transiteranno, s’accomoderanno ecc., i cadeaux, collosi, grandi come monete da due euro;
– chi va di analgas o rutta e m’impone di odorare, spesso forzatamente (luoghi chiusi, senza immediata via di fuga), l’imminente espulsione solida o l’inizio della digestione;
– chi mastica a bocca aperta o parla mentre tritura il cibo, condividendo la prima digestione e lanci di micro assaggini d’impasto. Ehhh che diamine, chiudi la saracinesca, lavora in religioso silenzio e riaprila ad ambiente sgombro;
– chi, a tavola, m’ispeziona il piatto, sottraendo qualcosa con la propria forchetta o, come un vichingo, direttamente con le mani (Non amo la saliva altrui e non ho la certezza che la mano prensile, prima, abbia sgrattocchiato dove non doveva …);
– gli abbracci equatoriali! Per indole, come una cinghialessa, sopporto a stento il contatto fisico, figurarsi una bella strizzata umida di sudore, magari con un retrogusto di cipolle di Tropea abbandonate al sole o ovino in amore;
– il manifestare il dissenso con un tono di voce accostabile ad un megafono. Urlare non equivale ad ottener ragione, tutt’altro, significa non averla affatto;
– utilizzare il linguaggio delle mani, anche quando si scherza e non si è alle prese con uno scontro serio, intriso di rabbia;
– le frasi composte all’80% da parolacce e le bestemmie, queste ultime le percepisco come pugnalate in pieno petto, un autentico pestaggio dell’anima;
L’educazione, il sapersi comportare, non è UN PIU’, è il pilastro su cui poggia il vivere civile … perché la libertà di ciascuno di noi finisce dove inizia lo spazio di un altro.
– Carla –
Come ti chiami? Un attimo … decido!
Eh si, è stata battezzata con diversi nomi, dai greci, dai fenici, dagli ebrei e dai romani, e tutti magicamente legati ad un qualcosa di straordinario. Ichnussa, abitata dagli ichnos ( parola che in greco significa “orma di piede umano”), Sandalia o Sandaliotis (da sandalion, ovvero sandalo, per la sua forma), Cadossene cioè Madre Santa, Shardana, Sardinia e, come la conoscono tutti, Sardegna. Alla nascita della mia amata isola sono legate 3 leggende, surreali e suggestive, due delle quali non le conoscevo affatto … le ho scoperte casualmente in rete, cercando tutt’altro.
Ichnussa o Ichnusa (eh già, il nome della birra)
Zeus, custode dell’armonia del mondo, per sottrarsi ad un marito geloso, a cui aveva insidiato la moglie (calandosi nei panni di mortale), nel fuggire dalla finestra della loro abitazione, fu colpito dal lancio di una calzatura, scagliata dall’uomo. Oltraggiato da un simile affronto, optò per una vendetta senza pari, sterminare il genere umano allagando la terra. Chiamate il soccorso le nubi, fece cadere tanta di quella pioggia da mettere a repentaglio anche la sua stessa vita e quella di sua moglie-sorella Hera, sovrana dell’Olimpo, alle porte del quale erano giunte le acque. Nel tentativo di sanare la sciagura scatenata dalla sua furia, perse l’equilibro, posando un piede sull’acqua e lasciandovi la sua orma (ichnos). Nasceva, così, Ichnusa!
I Serdan
Si narra che Tirrenide fosse il primo continente e che Dio, colto dall’ira nei confronti dei suoi abitanti, si scagliò sulla loro terra, scatenando terremoti e maremoti. Pervasa da sconvolgimenti climatici senza precedenti, la osservò, realizzando di essersi fatto guidare da un sentimento terribile solo quando stava per essere ingoiata dalle acque. Ponendo un piede su ciò che continuava ad emergere, ne afferrò un lembo, evitandone la fine. Gli uomini, caduti in mare, trovarono salvezza sulle sponde di quella zolla di terreno, che riproduceva l’impronta divina, dando origine ai Serdan, il popolo della Sardinia.
L’orma di Dio
Il Signore, portata a termine la Creazione, mentre si apprestava a godere del meritato riposo, si accorse che gli era avanzato un pugno di pietre di origine granitica e basaltica. Deciso a non sprecarle le gettò sul mare e per far sì che si agglomerassero, perfettamente, le pressò col piede nudo, imprimendone la forma. Rattristato dall’aspetto desertico, decise di regalarle profumi unici e colori spettacolari e di renderla ricca di vita e di ogni bene.
L’amore per la mia terra mi chiede di credere che quest’ultimo racconto sia quello vero e che Dio, che ci ha fortemente voluti, qui, si senta a casa.
– Carla –
15/08/17
La serenità venga a portarvi la prima tazzina di caffè a letto, vi scorti, attimo dopo attimo, per tutto il giorno e al tramonto si nasconda tra le pieghe dell’anima … decisa a non lasciarvi più. Buon ferragosto …
– Carla –
In a heartbeat
Se l’Amore fosse un uomo, sarebbe l’uomo perfetto …
L’Amore, quando è vero e come un albero (in cerca dell’acqua che gli garantisca la vita) affonda le radici nell’anima, trova la grinta per affrontare e oltrepassare qualsiasi ostacolo, alleandosi con quella stessa paura che ne frenava il passo.
L’Amore nel nascere non chiede mai in quale “dimora” troverà casa, chiede di vivere, di far suo un angolo di gioia in cui la stupidità, i pregiudizi e il peggio del genere umano non stiano solo fuori dal suo spazio, ma non esistano.
L’Amore, nel colorare quanto lo circonda, s’aspetta libertà d’espressione e non di divenire oggetto di disumana persecuzione.
Amare è un dono, incompreso e giudicato, ne sono convinta, solamente da chi non è mai scivolato tra le braccia dell’Amore.
– Carla –
L’Italia del sorriso
Il nostro Paese, un Paradiso “geografico” che mostra “volti” seducenti (mare, fiumi, laghi, pianure, montagne … ) e rivela, mostrando un “album di ricordi” tangibili (monumenti e siti archeologici di rara bellezza) un passato prezioso di cui andar fiero. L’Italia, oltraggiata da chi non realizza che è un bene di tutti, che è nostra, il salotto di casa che si fa ripostiglio e cumulo di ciò che non si sa dove far svanire, dal cilindro tira fuori i pennelli per dipingere un sorriso. La fantasia, quella polvere magica che cadendo illumina il sentiero più cupo, la racconta anche così, con i nomi singolari di tanti Comuni che la compongono. Con una sarditudine che fa capolino in ogni dove, ovviamente, parto dalla mia regione …
Villasalto (CA 1000 ab.) – Assolo (OR 400 ab.) – Bidonì (OR 150 ab.) – Solarussa (OR 2500 ab.) – Lei (NU 580 ab.) – Ilbono (NU 2150 ab.) – Girasole (NU 1300 ab.) – Sorgono (NU 1700 ab.) – Bono (SS 3500 ab.) – Mara (SS 600 ab.) – Ossi (SS 5800 ab.) – Romana (SS 560 ab.) – Sorso (SS 14.800 ab.) – Lunamatrona (SU 1700 ab.) – Musei (CI 1500 ab.) – Carloforte (CI 6200 ab.) – Piscinas (CI 870 ab.) – Collinas (VS 850 ab.) – Monti (OT 2400 ab.) …
Fiumelatte (Como) – Paperino (Prato) – Occhiobello (Rovigo) – Donnadolce (Ragusa) – Femminamorta (Pistoia) – Purgatorio (Trapani) – Buonvicino (Cosenza) – Campodimele (Latina) – Pocapaglia (Cuneo) – Belsedere (Siena) – Casa Del Diavolo (Perugia) – Altolà ( Modena) – Strangolagalli ( Frosinone) – Golasecca ( Varese) – Larderello (Pisa) – Capracotta (Isernia) – La California (Livorno) – Crema (Cremona) – Gnocca (Rovigo) – Bastardo (Perugia) – Sesso (Reggio Emilia) – Scopa (Reggio Emilia) – Sega (Venezia) – Trepalle ( Sondrio) – Tripalle (Pisa) –
Ne conoscete altri??? Nel caso mi trovate a Gnocca, mi trasferisco là, non sia mai che accada un miracolo!!!
– Carla –
C’era una volta …
Le fiabe della mia generazione, al capolinea degli anni 70 del secolo scorso, iniziavano tutte così ( o con – Era una notte buia e tempestosa … –) e non era insolito che si chiudessero con un finale invariato – … e vissero tutti felici e contenti! – Sono crescita a “Pane & Rodari” e solo da più grande (non a livello scolastico ma puramente personale) ho iniziato ad avvicinarmi ad un passato (parecchio passato perchè mi riferisco al 600 a.c.) che ha dato i natali ad un “favolista” sempre attuale, Fedro. La sua favola più nota è, senza ombra di dubbio, “La volpe e l’uva”, proposta alle elementari e divenuta una sorta di proverbio, con cui tirar le orecchie a chi dichiara disinteresse per quel che non può avere e che in realtà vorrebbe. La genialità nell’attribuire agli animali le imperfezioni umane, ridicolizzandoli, conduce, anche i meno attenti o sapienti, a sfogliare tra le pagine del proprio vivere ed a pensare di riscrivere i percorsi di parole o azioni. Una delle mie preferite (che in alcuni testi è intitolata “Il contadino e la Serpe”) è la seguente:
La Serpe in seno
Uno vide una serpe congelata
e la raccolse, per scaldarla in seno.
Fu pietoso con lei, non con se stesso:
non appena si fu ripresa infatti
la serpe uccise il suo benefattore.
A chi le chiese perché l’avesse fatto:
“Perché nessuno impari” lei rispose
“a far del bene ad esseri malvagi”.
Rincorsa dalla mia radicata “sarditudine” mi sovviene un detto “Fai beni e bai in galera!” (Prodigati a far del bene e sarai ripagato finendo dietro le sbarre).
– Carla –