E se …?

La butto là, senza troppi fronzoli, confidando nelle diverse abilità organizzative di parecchi di voi, non avendo la più pallida idea di come poterla gestire … Convinta che l’immensità del mare si componga di tante gocce e che, di conseguenza, tutti insieme si possa raggiungere un traguardo difficoltoso per il singolo, mi domandavo: – Si prova ad offrire ciò che siamo, in cambio di un piccolo contributo? – Mi spiego meglio! L’idea sarebbe quella di raccogliere ricette, consigli della nonna, fotografie, poesie, immagini agganciate a parole, racconti e fiabe, il tutto per un massimo di 10.000 battute o 3 immagini, per realizzare un “prodotto” (da siglare, pezzo per pezzo, con solo il nome e il link dell’autore, per garantire la privacy) che si possa scaricare a 2 o 3 euro. Il ricavato, se arrivasse, si potrebbe destinare a persone dimenticate, scelte di comune accordo, che hanno bisogno di sostegno. Sempre più spesso vediamo chi conta le monete al supermercato e riesce a comprare solo un pacco di ceci, un litro di latte o un barattolo di pelati e, ovviamente, non ci fa stare bene. – Che ne pensate? – Io sono pronta a scrivere una fiaba inedita!

– Carla –

 

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Devi a te stesso/a

Voce”, che sussurri all’amore e all’affetto, ma sia capace di toni severi per ottenere attenzione e rispetto.
Silenzio”, per captare le parole dell’anima e realizzare verso quali sentieri ti vuoi incamminare.
Umiltà”, per ascoltare, valutare e rimediare ad ogni errore.
Pazienza”, per assecondare il ritmo del tempo, non tentando di frenarlo o accelerarlo.
Coraggio”, per difendere una idea, una posizione, per accompagnare, nella realtà, anche un sogno improbabile.
Coerenza”, per tenere strette le briglie della serenità che scaturisce dall’intrecciare, sapientemente, pensiero ed azione.
Clemenza”, per vedere in una caduta uno stimolo a dare di più, una battuta d’arresto e non una sconfitta.
Allegria”, per vestire anche i giorni più cupi coi colori, vivi, della speranza.
Entusiasmo”, per scommettere su te stesso, non lasciandoti intimidire da un eventuale scivolone.
Armonia” … fra tutte queste cose!
– Carla –

 

Lavori in corso?

il perdonoguarisce

Il perdono guarisce”, periodicamente, ritorna tra le mie mani e quelle parole camminano tra i sentieri di un pensiero che edifica la quiete. Il perdono guarisce chi lo dona, non ho dubbi, perché allontana il malessere che talune persone hanno il potere di provocare, ma sentirlo fino in fondo, e per chiunque mi ha deturpato l’anima, ha il sapore di un miracolo. Lavori in corso? No, ultimati! Proprio così, non credo di potermi spingere oltre il confine, spostato al limite. Ho dato due mani di “pace” su muri anneriti, e non ne ho dato notizia, imparando a pregare per l’arrivo, nel loro universo oscuro, di una luce. Ho depennato, dall’elenco del dolore, uno dietro l’altro, i nomi di una breve lista di mostri, resi inoffensivi dal bene, scoprendo che il primo, come fosse tatuato o scolpito, non si può cancellare. Non ho più ferite e non mi sento un verme per non avvertire viva e compiuta l’assoluzione, proprio così, è un non volerlo, meditato, profondo, e non un non saperlo fare, per l’inutilità di un petalo di cuore lasciato scivolare sul letame. Sono una pessima cristiana? Non permetto al Signore di far suoi tutti i percorsi del mio cuore? Non conosco pienamente l’essenza dell’amore? Non trovo le risposte e quel che è peggio non mi affanno per trovarle, rovistando chissà dove. Il libro tornerà in un cassetto, sua ultima stazione, con due righe scritte di pugno su una pagina bianca: “Il perdono lo regalo a sciocchi burattini, che non percepiscono le loro estremità affondare nel male, non a chi muove i fili e ha ben chiaro di spargere, su tutti, il dolore”.
– Carla –

The Versatile Blogger Award

versatilebloggerawardRingrazio la padrona di casa del blog http://marzia.wordpress.com per la nomination e, molto volentieri, partecipo.
Regole
:
mostrare il premio sul tuo blog,
ringraziare chi nomina, fornendo il suo link,
condividere 7 fatti della propria vita,
nominare 10 blogger e avvisarli.
Fatti che mi riguardano
:
1- Tempo fa, in seguito ad un miagolio persistente, ho dovuto far smontare il fondo della mia auto e, sorpresona, sono saltati fuori sei baby micini, sporchi ma in ottima salute. (Ho ritrovato pure la loro mamma e riunito la famiglia)
2- Con mia sorella mi sono recata in un negozio di abbigliamento, rapita da uno dei nostri momenti scemi, ho preso un cappottino terrificante, sono entrata in camerino, l’ho indossato e sono uscita con l’aria da sensualona … Lei si era allontanata e davanti a me transitava un tizio che mi ha fissata, sbigottito, cercando di trattenere una risata cosmica. Ho arricciato le labbra in un sorriso che chiedeva clemenza e, dandomi il colpo di grazia, ho detto  “non lo prendo, mi sta male”.
3- Ho le lacrime in tasca, sgorgano per qualsiasi forte emozione …
4- So di avere una sosia (diverse volte mi hanno scambiata per lei) ma non l’ho mai incrociata. Il mio clone non sta in chissà quale parte del mondo, condividiamo il Sulcis, non è bizzarra come cosa?
5- L’amore per gli animali, da piccina, mi spinse ad adottare dei sorci, grandi come gatti, che si presentavano fino alla grata di un tombino. Posavo del cibo e loro mangiavano, senza mai sfiorarmi le mani, nonostante la distanza inesistente.
6- Non sopporto il buio totale e riesco a prender sonno solo in presenza di un punto luce notturno.
7- Prima di passare a miglior vita mi piacerebbe riuscire a scrivere il testo di una canzone e una commedia.
Nomination
:
http://tramedipensieri.wordpress.com
http://laurarosa3892.wordpress.com
http://antolinirebecca1964.wordpress.com
http://ilmondodibabajaga.wordpress.com
http://afinebinario.wordpress.com
http://primononsprecare.wordpress.com
http://calogerobonura.wordpress.com
http://tuttolandia1.wordpress.com
http://macalderblog.wordpress.com
http://sherazade2011.wordpress.com
http://isabellascotti.wordpress.com
http://ilcuoredibeatrix.wordpress.com
http://violetadyliopinionistapercaso2.wordpress.com
http://raccontidalpassato.wordpress.com
Sono di più … ma va bene lo stesso!!!
– Carla –

 

Al rogo le etichette

Incolonnare i pensieri, secondo lineare coerenza, non setacciandoli, è qualcosa che mi appartiene (da sempre), eppure, quando mi è chiaro che dovranno passare attraverso la porta del cuore, non lo nascondo, vado in cerca di un filtro che li possa ripulire dall’emotività che li muove. Mi frena non il senso che ad essi desidero attribuire, piuttosto, la veste con cui li dovrò presentare. Temo di non trovare le parole adatte e, mio malgrado, di ruzzolare dentro uno spazio che potrebbe rivelarsi teatro non di un equilibrato e sereno scambio di opinioni ma di accesi e sterili scontri verbali. Non viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda, accade non venga vissuto come un momento di crescita ma quasi un affronto da sanare con veemenza. Bene, la sparo diretta e poi la sviluppo … ODIO, VISCERALMENTE, LE ETICHETTE, non le piazzo sulla fronte di nessuno, mi schiero a mo di scudo se le vedo piazzare e non consento mi si piazzino, applicando questa scelta di vita sempre e comunque. Ma quanto sarebbe bello dire “non mi somiglia”, “ha sfumature differenti” piuttosto che descrivere quel che non accomuna con durezza, esaltando se stessi! Le etichette, con fare buffo, le incollo solo sulla mia persona (divertendomi) o, con affetto smisurato, su coloro che conosco benissimo e sono capaci di riderne. Fermo restando che nessuno possiede l’unità di misura in grado di valutare la “normalità” e la minoranza potrebbe essere vista come “speciale” data la rara unicità, congelare qualcuno in un dato “ruolo” può farlo soffrire, destabilizzarlo, dettaglio non trascurabile. Non si è “diversi” ma “singolari”, è complicato accettarlo? Tra le mie pagine, nei giorni scorsi, ho avuto modo di leggere uno scambio di commenti e se non ricordo chi li ha digitati (dovrei controllare e non ne vedo la necessità, per poi riprendere a scrivere, rischiando di perdere il filo) ricordo l’argomento: pedofili e gay. Lo premetto, non è importante chi ha scritto, perché ospito tutti, lasciando loro la libertà di espressione, mi concedo, semplicemente, di accodare il mio pensiero. La pedofilia è un orrore, la profanazione di un universo fatto di candore, una morte non morte, una visione mostruosa che un innocente non riuscirà mai a seppellire sotto i massi della memoria, lo schifo che ha pochi altri ribrezzi con cui fare il paragone. Gay? Non mi piace usare questo termine, a dire il vero non mi piace nemmeno omosessuale, eterosessuale e quant’altro cataloga una persona, anche se, devo ammetterlo, un termine illumina. Salva la vita a qualcuno sapere che un altro, al mercato della vita, si reca al banco delle banane, delle patate o entrambi? Nel relazionarci con taluno è importante essere a conoscenza se di mattina beve the o caffè? Direi di no … !!! Carla, che crede che il fuoco dell’amore s’accende nell’animo e l’approccio fisico giunge di conseguenza, si stranisce per un legame tra due donne o due uomini? La risposta mi pare scontata!!! CHI RECLAMA RISPETTO LO DONI PER PRIMO, questo mi permetto di “strillare” e, con tono pacato, di suggerire una visione umana a 360°, che pone l’interiorità al centro di qualsiasi relazione sociale o sentimentale. Ho finito, vi consegno lo spazio bianco in cui lasciare quel che vorrete …

– Carla –

Genitorialità alla pari

Lo è (anche se, va detto, non sempre le parti investono le stesse energie e manifestano uguale coinvolgimento, nonostante le medesime risorse), finché, qualcosa non si incrina e, per l’indebolirsi di un sentimento “completo”, si spezza, dando il via a tutta una serie di colpi bassi che minano soltanto l’animo dei bambini. Eh sì, il senno e il rispetto per la prole vengono ingurgitati da rabbia e desiderio di rivalsa, con una frequenza non trascurabile. L’affidamento condiviso, solo quando gli adulti si comportano come tali, veste il quotidiano di un bambino con un’affettività solida e continuativa, pur costringendolo a vivere, stabilmente, con un solo genitore, diversamente, lo intrappola in un inferno. Piccole vite, usate, loro malgrado, come lame per trafiggere l’altro/a, strumenti per ricatti vergognosi o pedine con le quali conquistare terreno, in barba all’amore da garantire e ad una serenità inviolabile. La bassezza, l’ho potuto verificare personalmente e in più occasioni, non ha sesso, lui o lei, riescono ad essere scorretti ed egoisti in eguale misura, nella più totale ottusità e indifferenza. La frase, scontata, – i bambini stanno bene con la madre – , ve lo garantisco, non la posso sentire, perché sminuisce la figura paterna, talvolta, meritevole di lode. I bambini non appartengono ai genitori, ai quali la vita li ha dati solo in affido, riservando il privilegio di accompagnarli per un tratto significativo, a maggior ragione non si può pensare che li posseggano e secondo una data percentuale. È vero che una donna, per nove mesi, protegge la sua creatura, ma questo non le deve conferire, di diritto, esclusività o criteri di valutazione differenti da quelli che scandagliano l’idoneità genitoriale di un uomo. I figli, ne sono convinta, non di rado, starebbero alla grande collocati presso il padre che, senza sforzo alcuno, non prepara scenari di guerra, ma si mette in una posizione che avvantaggia chi ama. Genitori perfetti non lo si è mai, ma si può aspirare a diventarlo, parlando di e con il cuore e non solo di pancia.

– Carla –

“Belle Maniere”

Fare del garbo lo strumento di approccio alla comunicazione, lo scambio idoneo per non lanciarsi, come tsunami, nel microcosmo del prossimo, sempre più spesso, mi appare fantascienza. Essere trattati con delicatezza sorprende e insospettisce, ponendo chi la riceve sulla difensiva. Mi capita, regolarmente, di notare un anziano in difficoltà e di offrire aiuto, di domandare – posso essere utile? – se scorgo qualcuno assente e mi accorgo che il disagio si taglia a fette e, ancora, di chiacchierare con il bimbo che vedo distante da adulti. Le persone avanti negli anni ed i piccini sono i soggetti con i quali mi risulta più immediato interagire quelli che, senza farsi paranoie, ricambiano quanto ricevono, quasi nell’esperienza e nell’ingenuità si trovasse il passepartout per aprirsi con fiducia e spontaneità. Per tanti, e vi assicuro che li comprendo, potrei stendere un lungo e sottile nastro di parole, perché al sorriso e al gesto amorevole, in una realtà che viaggia veloce e in solitaria, non si fa mai l’abitudine, temendo un dietro le quinte che, da una parte, cede e dall’altra, sottrae. Il – nulla in cambio – stride e scavare, per trovare un secondo fine, è fulmineo, un dovere. Diversi anni fa, in un parco termale appena fuori Roma, mentre uscivo dalla piscina più grande, vidi una bambina che correva (grigliandosi i piedini sulla lingua di cemento, rovente, che divideva l’acqua dai pratini) e piangeva disperata. Le andai accanto e, prontamente, la presi in braccio per tranquillizzarla e comprendere cosa le fosse accaduto. Aggrappata al mio collo (era una scricciolina) tentò di darmi indicazioni, parecchio confuse, mentre giravo per ritrovare i suoi genitori, quando mi si parò davanti un tizio che al “grazie” sostituì – Che ci fai con mi fija in braccio? – con fare poco amichevole, neanche avesse avuto davanti una spacciatrice di organi o una pedofila. Che dire? Magari, prima di iniziare un linciaggio verbale, è meglio accertarsi di come stanno le cose, resta il fatto che, di questi tempi, la reazione da energumeno ha una sua ragione …
– Carla –

Faccio strada …

Non so esattamente perché lo faccio, di sicuro non per collezionare “like”, ottenere un’impennata di commenti o catturare iscritti. Leggere pagine spruzzate di tristezza, realizzare che il mostro della sofferenza miete, sempre, nuove vittime, non sentendo alcuna pietà per loro, vorrei mi lasciasse indifferente, distaccata al punto tale da scorrere le parole e lasciarle andare, invece, m’inchioda a pensieri che solo il tempo mi ha permesso di imprigionare in un “racconto mai editato” e chiuderlo con la parola “fine”. Il sentiero è, per tutti, sempre lo stesso, varia la collocazione delle buche, l’alternarsi di salite e discese, ma non l’aggressività di eventi che trafiggono l’anima fino a lasciarla esanime. Ostaggi di una cordata d’interrogativi, compressi tra colpe instillate, che prosperano tra le ombre, protette da disagio e insicurezze, si affrontano le giornate strappando i petali di una margherita avvelenata. Dormire, mangiare, indossare lucida serenità e mantenere  in piedi un minimo di vita sociale, uno sforzo immane dai risultati deludenti. La sensazione, tangibile, di andare a picco, di non avere le forze per risalire, una volta toccato il fondo, fidatevi, è pane per tutti. Nel periodo in cui Minosse mi faceva scoprire il dedalo del viver male, avrei voluto che chi lo aveva superato mi fornisse un navigatore per venirne fuori, penando solo quel tanto che anticipa il “mettere in ordine”. Oggi che della devastazione emotiva resta solamente la memoria ed un libretto d’istruzioni da non perdere, mi sembra giusto lasciar traccia della mia esperienza e sussurrare, con quel filo di voce che non irrompe e non pretende d’insegnare, che anche nel buio più totale si può accendere una luce. È nel dna della vittima, e non del carnefice, mettersi in discussione, farsi carico di una sconfitta non voluta, specchiarsi negli occhi del prossimo con sguardo cieco, scorgendo connotati manipolati. Non si è, mai, quella fetta d’inutilità che, con cattiveria o per ripulirsi la coscienza, riescono a farci credere. Non prova emozione, nel bene o nel male, colui o colei che, palesemente, non ha mai investito nulla, che nello sferrare una coltellata vive una perversa e malata liberazione. La disperazione e il sentire un dolore diffuso, difficile da quantificare, a posteriori, credetemi, saranno benedizioni, strumenti per venire a contatto con anche la più piccola scintilla di ciò che di bello ci compone. Fare a se stessi una dichiarazione d’amore, di quelle che nascono timidamente per poi travolgere, può sembrare folle, ma non lo è … gli altri hanno importanza, sicuramente, ma solo se in loro potremo riconoscere quel sentimento che ci siamo offerti per primi. Non ricalcate i miei primi passi, non fissatevi con gli occhi di chi usa il cuore, unicamente, come motore per campare, nutrite la capacità di valutazione e non vi sarà difficile notare che, oltre il confine, esiste chi vi somiglia, desideroso di offrire amore paterno, materno, fraterno o di intraprendere un cammino a due, tenuto insieme dai fili della sincerità e della comprensione. Per quanto mi riguarda, un pomeriggio, dopo essermi strizzata dalle lacrime, ho indossato l’abbigliamento sportivo e, in solitudine, sono andata a correre. L’ho fatto ogni giorno, anche se non mi andava, anche se desideravo affogare nel mio stesso pianto, e questo ha fatto sì che mi avvicinassero tantissime persone, dal vecchietto con il cane al bimbo col pallone, dalla madre di famiglia al single seduttore. Ho ricostruito un panorama nuovo e che mi appartiene, sopra quel maledetto cumulo di macerie. La molla scatta, basta toccare la “levetta” giusta …
Carla-corsa                         6 anni fa.

… e vaffa … a chiunque mi faceva sentire un “secchione”!

CessItaly …

Nessuno dovrebbe mai chiamare il suo Paese “Cesso”, eppure, a me viene da farlo, perché mi sembra di essere scivolata in un’enorme latrina e di vivere la culla della storia e il tempio della cultura convertite in un vespasiano maleodorante, imbrattato con le più squallide delle scritte. Siamo diventati gli zimbelli di trogloditi ai quali, taluni benpensanti, hanno ritenuto opportuno consegnare le “nostre” chiavi di casa, il pin per seccare il conto e la nostra dignità come zerbino.

 https://youtu.be/kfs6yHu-c4w

Non bastava la “poesia canora” di Bello Figo, il suo chiamarci  “fighe bianche” da servizietto, mancava il rap dello zingaro!  Qualcuno di voi mi sa spiegare in che modo, individui che arrivano armati unicamente di “denti e kulo” (perdonate la poca raffinatezza), che non parlano correttamente la nostra lingua, non hanno una specializzazione tale da inserirsi lavorativamente, tra le altre cose in una rete smagliata che non trattiene più nemmeno noi, possono essere considerati una “rilevante risorsa”?
– Carla –

Noi e l’AMORE

L’etimologia della parola AMORE, l’ho scoperto curiosando, si lega al sanscrito KAMA, al verbo greco MAO ed ha radice indoeuropea, KA, ciò che non varia è l’essenza che gli è sempre stata attribuita, quel morbido fiocco, rosso, che tiene uniti desiderio viscerale, passione e attrazione, nei confronti di una persona. Da adolescenti lo abbiamo trascinato tra le pagine di una fiaba, caricato di mille aspettative prima di aprire la porta della maturità e lanciarci nel vuoto, nuotando in un oceano di tenere certezze o infilando le estremità nelle sabbie mobili di raggiri velati o vergognosamente diretti, ma mai abbiamo smesso di sperare nell’incontro che cambia la vita, e non in peggio. Attrazione fisica? Attrazione mentale? Quale delle due tiene le redini dei pensieri e ammanetta il cuore? Nel mio caso l’attrazione mentale ha sempre avuto la meglio, anche se in un passato lontano, purtroppo, è stata contaminata da una scarna capacità di valutazione. La nobiltà dei modi, una cultura non ostentata, una sensibilità che non si confonde tra la mischia, non sempre riflettono la realtà, ma accarezzano le tavole di un palcoscenico sul quale si veste, forse senza neanche averne coscienza, (e voglio credere sia così, per la grandezza del dono della vita e il rispetto che merita) un personaggio che piace, in primis a chi lo incarna. Fin da ragazzina non ho mai guardano l’apparenza, tanto da non poter vantare nessuna “collezione”, e così sono rimasta, aggrappata a quella bellezza impalpabile, sicuramente, invisibile ai più e che per me non ha pari. AMORE, un’avventura da scrivere a 4 mani, utilizzando l’inchiostro della lealtà, che trovi ispirazione da una fantasia incorrotta, dove il NOI tenga banco dalla prima all’ultima pagina.
– Carla –

Particolare o “diversa”?

Ho sempre creduto di essere una persona fuori dagli schemi, particolare o, forse, più che particolare “diversa”. Mia madre mi racconta che a 8 mesi ho incominciato a pronunciare le prime parole (oltre mamma e papà) e che a 1 anno e mezzo intrattenevo le persone riportando fiabe e avvenimenti, in un italiano perfetto. Mio padre che, avvicinata alla magia della combinazione delle lettere, a formare parole, mi sono dedicata ad una sorta di meditazione esplorativa. Ho iniziato le scuole sentendo la noia del ripercorrere cose già scoperte e alla loquacità ho sostituito l’alternarsi di grandi silenzi e condivisioni profonde. Una delle tate che vivevano con noi, qualche tempo fa, raccontò a mia sorella (che riuscì a rintracciarla e farle una gradita visita) che lei era dolce ed affettuosa, io distaccata, presa solo dagli album da disegno, utilizzati come lavagne. Ho divorato la piccola biblioteca delle scuole elementari e tutti i libri che arrivavano a casa e i miei non censuravano. Mi sono sentita aliena, e ancora mi ci sento, perché non riesco a stupirmi o a sentirmi angosciata per le stranezze che a tanti fanno, letteralmente, “sgommare gli slip”. Chissà se capita anche a qualcuno di voi di avere la sensazione, reale, di sentire la brezza che, di tanto in tanto, giunge da una finestra, immateriale, che s’affaccia chissà dove. Dipenderà dalla capacità di prestare una non comune attenzione? Penso di si, che gli altri non ci facciano caso perché distratti dai “rumori” del quotidiano. Non di rado il mio pensiero s’allontana, inseguendo un ricordo, sfiorando con la memoria chi, anche se lo volessi disperatamente, non potrà più ritornare, ed è proprio in quei momenti che succede qualcosa di curioso, dal profumo del – ci sono ancora – È capitato, da poco, in un bar (e lo abbiamo visto in 2) che un piattino, posto sul bancone, sul quale dovevano ancora posare la tazzina, si spostasse di una decina di centimetri e in modo brusco. State pensando … il fondo era bagnato? No, piano e piattino, perfettamente, asciutti! Vado a correre, ho bisogno di stare da sola per piangere la scomparsa della miglior amica di mia sorella (è l’ora di pranzo e per strada non c’è nessuno), rifletto e quasi le parlo, come quando correvamo insieme, quando, il campanello di una bicicletta, addossata ad un muro, inizia a trillare da solo. Ultimamente, durante una giornata uggiosa (e non dal punto di vista meteo) faccio 4 passi in compagnia e mi siedo su una panchina (di quelle con le stecche di legno). Esterno, a fatica, un sentimento graffiante, misto (delusione e disgusto), ponendo l’accento sull’indiscusso sostegno che attingo dalla fede ed ecco che la persona che ascolta il mio sfogo mi fa notare che con il lato b copro una misteriosa orecchietta di carta. Incastrata, perfettamente, e visibile a stento, un’immagine di S. Francesco e sul retro una frase che inneggia al coraggio e alla positività, sembra essere la risposta alle mie preghiere. Ho ragione a considerarmi strana? Concludo condividendo la carezza di una nonna, una nonnina non biologica ma di cuore, che mi ha amata da 0 a 3 anni e mezzo. Nonna Giustina, che viveva nel nostro stesso palazzo, non perdeva occasione per venire a trovarmi o portarmi a casa sua e si divertiva da matti quando descrivevo, a modo mio, quello che vedevo. Il mio pezzo forte, il suo preferito, era indicare e strillare “Culetto, culetto!”, quando si scostava il foulard che copriva due tettone pazzesche (la “riga” a me ricordava quella che separa le chiappe). L’ultima immagine che ho di lei è nitida, come una foto scattata ieri, stava nel suo letto, aveva gli occhi chiusi ed io le sussurravo di prestarmi attenzione. Mamma, trascinandomi via, mi disse che dormiva e che le avrei parlato il giorno seguente … mentiva, nonna era in coma! Tornai verso il letto e all’orecchio le dissi che le lasciavo due caramelle sul comodino, da mangiare al risveglio. La notte, mi svegliai all’improvviso, corsi in camera dei miei e, in lacrime, raccontai a mamma che Nonna Giustina era venuta a restituirmi le due caramelle, non le voleva, non le servivano più. Il tempo di rimettermi a letto e mamma sarebbe andata ad aprire la porta, sua figlia avvisava che la madre era appena spirata. La vita non si estingue, per i folli, come me, cambia solamente pelle!!!

– Carla –