… la mia dieta, la preferita dal lato B in espansione!
– Carla –
Archivio mensile:ottobre 2016
Avrei … non avrei …
Gli “Avrei … non avrei …” voluto, dovuto, sperato … e quanto altro il pensiero e l’animo possono suggerire, ho la certezza tappezzino l’esistenza umana. Quadri malinconici, perché solo di questo si tratta, che espongono i chiaroscuri del rimpianto e della collera e che, di tanto in tanto, abbandonano la soffitta per scalare le pareti del quotidiano. La polvere che ne “imbelletta” le cornici demodé diventa inavvertibile e, come se la vista sprigionasse eccezionali poteri, solamente, quel che ritraggono si fa chiaro come non mai. Si esibisce il patentino del “perfetto cretino” e, ciò che è peggio, si è consci di farlo, eppure si tira dritto, quasi l’esigenza di metter ordine tra le sensazioni, una volta per tutte, avesse la meglio. Non cambierà nulla, è palese, le tele torneranno in soffitta e con loro l’ingombro degli “avrei” che, concretamente, non hanno più alcun peso, con una parte di noi che si guarderà, periodicamente, alle spalle scongiurandone la ricompensa. Scorrendo l’archivio della memoria, e non dite che non è così … non mentite … la collezione di ognuno di noi è di tutto rispetto, dalla scemata appesa ad una risata, alla via imboccata per ingenuità o con leggerezza, traiettorie ci hanno sottratto tempo prezioso o mutato, significativamente, il corso delle cose.
“Avrei voluto … avere occhi tra i pensieri e non sul cuore!”
– Carla –
“Passata è la tempesta …
… odo augelli far festa …”. Ricordate “La quiete dopo la tempesta” di Giacomo Leopardi? Bene, dopo mesi di ansia ingestibile e di pareri attesi come aria per non smettere di vivere, mi sento come davanti al vociare della vita che rincomincia a scorrere, difesa da un cielo che riacquista calore e i colori del sereno. Alla mia età non è insolito avere genitori avanti negli anni, alle prese con acciacchi di poco conto o problematiche ben più serie, avvertire il disperato bisogno di prendere a calci tempo e natura, affinché frenino la loro avanzata, nel rispetto dei nostri sentimenti e di una logica assente: si è figli anche a 80 anni e, umanamente, si spera di esserlo, a pieno titolo, con una madre (o un padre) diventata mamma anticipatamente. Nell’avvertire sofferenza, la frase “mamma mia che dolore!” non la dice solo il bambino, è un’esclamazione dell’animo, senza età. Non mi rendo conto d’aver iniziato il periodo di “stagionatura” quando guardo i miei genitori, nel rifiuto più totale della vecchiaia che copre le loro spalle, scorgendo sempre quell’energia che, ora, trasla dal corpo allo spirito. Mamma e papà non sono eterni, lo so bene, ma non lo voglio sentire, perché quelle parole lacerano il cuore, creando un buco nero, un vuoto che non saprei amministrare. Il terrore provato lunedì mattina ha avuto la peggio, stroncato dalla forza di una madre che, lo ammette con candore, dal suo vocabolario ha depennato la parola “arrendersi” e dalla capacità dei medici, che hanno fatto di un momento delicato un intervento banale (mia madre è cardiopatica e senza farmaci non riesce a tenere fluidificato il sangue, in parole stringate è un soggetto a rischio se sottoposta ad anestesia). Sono felice da impazzire nel vedere la gioia che danza nei suoi grandi occhi neri, della conferma che non ha nessuna intenzione di smettere di fare la “mamma isola” in cui trovare sempre riparo e conforto. Non sarò mai madre, il minimo che il destino mi potrà restituire è fare la figlia, il più a lungo possibile, non vi pare?
– Carla –
Tempo & Cuore
Al tempo, da sempre, si domanda di prendersi cura delle nostre sventure, di traghettarle lontano e di inabissarle, sottraendole alle grinfie della memoria. Si reclama, quasi fosse sua unica prerogativa e non di chi le veste, il prodigio di una rapida e indolore rimozione … Irrealizzabile fare lo scrub al cuore, levigarlo fino a costringerlo a condonare il dolore! Il tempo insegna, null’altro, spalancando le porte alla pazienza, alla comprensione, alla conoscenza di vicoli in ombra che chi potranno percorrere senza il soccorso di una fonte di luce esterna, alla rivelazione di una comunicazione, esclusiva, tra lui e l’anima. La sofferenza gioca a nascondino, lo sa bene chi ci ha battuto contro … e, malauguratamente, non si consuma …
– Carla –
Non ho nulla da vendere … chiedo!
È la mia città, la amo, probabilmente con quell’attaccamento morboso che, affettuosamente, si attribuisce al sardo, per l’umiltà con cui cerca di restare a galla e mantenersi dignitosa, nonostante la povertà e disperazione in cui versa il Sulcis (e l’intera isola), per quel suo sorriso malinconico che chiede soltanto un mezzo di riscatto … la amo e basta! Osservarla mentre, giorno dopo giorno, le addossano nuove difficoltà che non può gestire, e non per mancanza di volontà quanto di risorse materiali, mi devasta, soffocando anche l’ultimo conato di rabbia, cedendo il passo ad una accettazione che si trascina dietro solamente le sfumature acide di una inevitabile agonia. L’impensabile, ciò che credevo sconfitto dal passato o il prodotto di un sogno oppressivo, ha preso corpo, affacciandosi ad una realtà che non riconosco e che temo impedirà il ripristino di una, seppur fragile, normalità. Mi guardo attorno e nel perdermi in sguardi disincantati leggo i miei stessi pensieri, scorgendo il crescere della distanza tra me (noi) e chi non vuole guardare in questa direzione. È fastidioso vedere i risultati di scelte superficiali e infelici, ammettere d’essere egoisti ed incapaci, lo so, ma è quanto è accaduto e sembra destinato a ripetersi.
Volutamente ho scattato la fotografia che vedete (nascondendo il volto), per tenere accesi i riflettori su una piaga che dilaga, tra l’altro prevedibilissima in una Italia in cui la fame ha preso fissa dimora. Generosità? Amore per fratelli bisognosi di un tetto e del “pane”? Il sogno, realizzabile, di un futuro sereno in una terra “straniera”? Una gran bella facciata, un biglietto da visita per dichiarare una identità diversa da quella autentica! Dall’alto arriva l’eco di voci che, sfacciatamente, spargono il contenuto delle nostre tasche e cedono spazi vitali che ci appartengono, senza domandare opinioni o il consenso. Ricordate il ragazzo che rovistava tra i rifiuti in cerca di cibo? Accattonare, con un cappellino in mano, è un’altra terrificante pagina che nessuno di noi vorrebbe avvicinare o scorre a cuor leggero. Non si può, non si deve, per rispetto del nostro popolo, delle sue richieste d’aiuto ignorate, impilare, come nulla fosse, fame su fame. Regalare illusioni, a chi arriva, è disumano, un gioco al massacro in cui soccombono solo i giocatori e non chi detta le regole, una vigliaccata nei confronti di chi ha radici e vede assottigliarsi una serenità labile, costruita in una vita.
– Carla –
Non hai figli? Allora taci!
– Permettimi di dirti che non avendo figli non sai, esattamente, di cosa parli! – Ehhhh basta con le frasi confezionate con la carta della rozzezza e infiocchettate con il nastro dell’idiozia. È innegabile, non ho figli e allora? Il parto o l’essere “donatori di seme” non attiva sensi sopiti o conferisce somma saggezza, nel sostenerlo dico una fesseria? Non ho contribuito alla continuazione della specie, ma ho pur sempre occhi per vedere, orecchie per sentire e un cervello operante che distingue un bambino con alle spalle genitori presenti da uno che, senza colpe, si sposta come una zattera alla deriva. In difetto non sono gli sfortunati “esserini rompini”, va sottolineato, ma chi li ha concepiti e, una volta sfornati, mollati al loro destino. – Quando ci stai dietro per ore ed ore, t’assicuro, che non ne puoi più e molli la presa, lasciando che facciano quel che vogliono … – Ma beeeeneeeee … e chi se ne frega se polverizzano il fegato degli altri, rendendo le loro ore di relax un tour all’inferno! Diventare genitori non è obbligatorio, non è una tappa da toccare per forza, per non sentirsi “diversi”, quasi “difettosi”, ma una scelta da farsi con consapevolezza e spirito di sacrificio. Il primo “NO” non macchierà né l’anima di mamma né di papà o turberà la psiche del loro piccino, facendo germogliare, al contrario, la pianta del rispetto e della buona educazione. Questa estate mi è capitato di essere uno degli ospiti in una location con piscina e di dover sopportare, per un intero pomeriggio, due bambini e una bambina, che in tre non arrivavano a venticinque anni, da eruzione cutanea. Al grido di – Chi sbatte contro il muro gli viene il xxxxx duro – (e non parlava del naso) il più piccolo, istigato da una carognetta con la codina, ha fatto dentro e fuori dall’acqua, finendo con il denudarsi (il costume lo aveva lanciato), armeggiato con la mercanzia e dicendomi, a più riprese – Ti piace signora, eh? – Spiegargli che il fagiolino, a quell’età, serve solo per fare pipì e non è un trofeo, noooo? Tre bambini “avariati” sono il risultato di sei adulti a cui i figli andrebbero tolti, visti gli insegnamenti! Avessero detto mezza parola per riprenderli, per il linguaggio assurdo, per gesti che dovrebbero essere lontani dal candore dell’infanzia, per lo stress e il disagio procurato a chi, a differenza loro (belli spalmati al sole, persi tra tartine ed aperitivi), li ha digeriti a stento. Non ho figli, è vero, ma in casi come questo vorrei tanto essere la madre inflessibile di adulti da resettare.
– Carla –
PS: Ho una confessione da fare … Approfittando di un momento in cui, a bordo piscina, sono rimasta sola con i “piccoli malviventi”, due paroline le ho dette. Nulla di particolare, lo premetto, ma aspettavo mamma e papà per essere ripresa … nulla … peccato!!!