– Il non saper accettare il tempo che scorre.
Chi tallona la giovinezza fisica ad ogni costo, arrivando a mostrificarsi con interventi, più o meno seri, che di miracoloso hanno ben poco, freddando l’espressività del volto o l’armoniosità del corpo e offrendo un aspetto “gommoso”. A tirar i capelli al Tempo si rimane con la parrucca in mano!
– La moda (o tendenza) seguita ad ogni costo.
Sono sempre stata convinta che ci si debba vestire in ragione di un minimo di buon gusto, senza ridicolizzarsi. Esempi? Una scollatura generosa non gioca a favore di chi ha 2 ciliegie fresche, come di chi ha 2 prugne avvizzite o due meloni in zona ombelico (l’imbracatura per riportarle in “zona” darà loro l’aspetto fresco e gelatinoso o sabbie mobile con grinze). I pantaloncini giro gluteo non sono gradevoli indossati da chi ha varcato gli anta, anta, aaantaaaa, anche se ha gambe perfette e un lato b gradevolissimo, come da una giovanissima con i gambotti esagerati e un retro prospetto che raccoglie tutto l’alfabeto.
– L’essere che soccombe sotto i colpi dell’apparire.
… ovvero, non importa chi sei ma come sei. Spaventoso!!!!
– Il possessore di specchi di rovere.
Della serie “Difetti? Ioooo? … Le mie sono particolarità che mi rendono unica/o!”. La panzotta e i maniglioni antipanico, magicamente, diventano addominali marmorei, la chiappa della tardona restaurata (che partiva male già di suo dalla giovinezza) il gluteo di Belen, la popputa da forchetta la Pamelona di Baywatch. A casa io ho gli specchi, i miei 50 anni li accarezzo tutti e, sebbene non faccia infartuare i passanti, non metto la mercanzia in mostra come fosse appena uscita dalla fabbrica. Amarsi per come si è, accettarsi, è insegnare a chi ci guarda a vedere la vera bellezza!
– Il “sacco vuoto” che si smercia per dotto!
“Se non sai, taci e ascolta”, quante volte l’abbiamo sentito dire, magari dai nonni o dai nostri genitori, che il tempo ha reso “nostri bambini” … Chi ha neuroni attivi segue il consiglio, chi ne ha uno a mezzo servizio, beh, incurante da fiato alle trombe e “svalanga” la sapienza del mulo. Al centro della scena, sempre e comunque, al grido di “Io so tutto!”.
– Il vivere al di sopra delle proprie possibilità.
Li ho sentiti chiamare in tanti modi, “Pidocchi rifatti”, “la miseria e l’ambizione” e ancora “su proccu bistiu beni” (il maiale in abiti eleganti) ma, in realtà, non saprei definirli diversamente da “dementi”! Per entrare in possesso di beni di “facciata” è necessario rischiare di proporsi per un espianto d’organi per far fronte ai debiti? Non è un’automobile da rosicata, un abito griffato, un gioiello o una villa hollywoodiana a rendere un essere umano migliore di un altro. Meglio una persona meravigliosa, nel suo essere, su una vecchia 500 rugginosa, di una mediocre e tronfia su una Ferrari!
– Chi non sa chiedere scusa!
Pronunciare queste 5 lettere, in quest’ordine, non conduce alla disidratazione totale della lingua, non costringe ad inalare gas letali, non umilia, non ridicolizza e, soprattutto, non prosciuga il conto, al contrario, mostra il meglio di un uomo, capace di realizzare un errore, desideroso di porvi rimedio.
– Il “tanfoso” coi familiari muti.
Categoria che detesto smisuratamente, che pungola i conati di vomito e fa provare l’ebbrezza dell’apnea prolungata nei luoghi senza vie di fuga. Puzzano all’ennesima potenza, puzzano di tutto un po’, un mix di alito di scarico a Calcutta, ascella assassina, cuoio capelluto affogato nel grasso, pelle allo strutto, mutanda con fondino in mogano o in cotone sgommato e piedozzi ai 4 formaggi. Si dice che il trasportatore del tanfo non lo senta, non capisco bene come faccia, ma supponiamo sia così, ma i suoi parenti? La moglie, il marito, la fidanzata, il fidanzato, un fratello, una sorella, un genitore, un figlio, tutti con le narici andate in fumo? Portarli a conoscenza del “problemino” non significherebbe essere irriguardosi ma, semplicemente, evitar loro di venire isolati a causa dell’olezzo.
– Carla –