Nasci figlio, cresci, ed ecco che d’improvviso ti ritrovi a fare i conti con una nuova realtà, felicemente costretto a svolgere un “mestiere” che nessuna scuola insegna, ad occuparti di mansioni che non consentono di staccare la spina nemmeno per mezza giornata, amorevolmente invischiato in un ruolo che, soprattutto all’inizio, ha un che di alieno e la capacità di sgretolare le più solide certezze, di mandare nel pallone tante di quelle volte da perderne il conto. Essere maestro di vita, al di là delle buone intenzioni e volontà, è la prova più ardua nella quale un uomo si cimenterà nel corso della sua esistenza, un test da superare a pieni voti, per orgoglio personale e per il bene di quella “creatura” che, mano nella mano, poco chiederà se non di apprendere e di ricevere esempi positivi. Osservando amici o conoscenti che hanno messo su famiglia, nel senso più completo della parola, mi rendo conto che si può essere ottimi genitori, attenti a tutte le esigente materiali e psicologiche del proprio figlio, genitori affettuosi e inconsapevolmente irresponsabili e, nella peggiore delle ipotesi, veri disastri, padri e madri menefreghisti che vedono nella strada e nella quotidianità, a 360°, i soli insegnanti adatti a far cresce “volpini” i propri ragazzi. Spettatrice, e non protagonista in prima persona, mi limito ad scrutare, silenziosamente, le loro valutazioni, interrogando me stessa. – Che genere di madre sarei stata? – Immaginarlo è, certamente, diverso dall’assaporarlo, tuttavia, presumo che all’interno di tali sentieri si viaggi sospinti non solo dall’amore ma altresì dal proprio carattere e, fondamentale, pilotati dalle proprie convinzioni. M’immagino genitore accorto, ansioso e protettivo, un’ombra che verifica ma non copre il sole, un pilastro che poco impone e spinge ad un uso consapevole della ragione, al quale è lecito domandare nella certezza di risposte sincere, una madre bambina che non avrebbe esitato a tuffarsi su un letto per fare la lotta con il suo piccolino che, passo dopo passo, ne avrebbe curato i progressi per non immetterlo nella vita da sprovveduto, una donna che mai avrebbe fatto del suo “amore” il clone di se stessa, non proiettando su di lui passioni inespresse o desideri irrealizzati. La vetta è ormai persa, aprendo la finestra posso sperare di vedere un cane che scodinzola in giardino, un gatto che dorme sul divano e di sentire le risate di tanti bambini che giocano per strada, di ricevere un loro abbraccio o un sorriso, di tenere tra le mani un “petalo di mamma”.
Carla