Cronaca

Accendere la tv, ascoltare notizie diffuse dalla radio, sfogliare un giornale, è cosa sconsigliata per chi è debole di cuore, il rischio è di restare “fulminati” nell’attimo stesso in cui si realizza il senso pieno delle parole che si ascoltano o non appena si comprende che le immagini che scorrono non sono il frutto di una brutale sceneggiatura.

  • Esseri di sesso femminile (le chiamo così, rifiutando di accostare alla spazzatura la parola Donne), riescono ad espellere la loro creatura, come fosse il prodotto di una fastidiosa colite, all’interno di un water.
  • Avanzi umani di sesso maschile, cancellano dalla vita donne la cui unica colpa è aver smesso di amare chi non meritava amore.
  • Padri e madri, indegni del dono della procreazione, strumentalizzano i figli, arrivando a toglier loro la vita, per punire la controparte e saziarsi di vendetta.
  • Adolescenti mercificano il loro corpo, sputando sull’anima, per una borsa griffata, l’ultimo modello di smartphone o bevute in locali da “io posso”!
  •  Squilibrati prendono in ostaggio intere scolaresche e, inseguendo chissà quali propositi o sogni di gloria, premono il grilletto come fosse un interruttore.
  • Animali vengono torturati per puro piacere o per un ritorno economico.
  • Sesso sfrenato e contro natura, scagliato su anime innocenti, espletato su chi non è consenziente.
  • Riti satanici nei quali la vita ha il valore di un kleenex.
  • Attentati ad opera di fautori di un’unica etnia o colore … per vivere o morire.
  • Giustizia inesistente che vede la vittima scontare le colpe del carnefice.

Che cosa sta accadendo all’uomo? Quale virus, non ancora individuato, sta prendendo possesso della sua ragione? Quale sostanza ne sta pietrificando il cuore? Ormai la buona notizia sta diventando una “chicca” per la quale stappare una bottiglia. Che orrore!

Carla

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Giocando con le parole!

Il mio blog inizia ad esser “sostanzioso”, ci ho fatto caso proprio ieri. Pensavo di aver scritto meno, molto meno, invece! Ho notato, tra l’altro, che il numero dei commenti, rispetto all’inizio, è cresciuto e che alcune persone mi vengono a far visita da diverso tempo, con una costanza meritevole di riconoscimento. Sono gli stessi bloggers che per i contenuti dei loro spazi virtuali, per la maniera con cui li esprimono, per la loro genuinità ed ironia hanno calamitato il mio interesse e rubato briciole del mio cuore. Taluni ho come l’impressione di conoscerli realmente, quasi questo “angolo di immagini, suoni e parole” fosse un gigantesco condominio, di recente costruzione, dimorato dai miei lettori e scrittori favoriti. V’incrocio su e giù le scale, nel vano ascensore, davanti al portone, seduti in una panchina del giardino, con ciascuno m’intrattengo per piacevolissimi scambi d’opinione, condivido sane risate e mi lascio trascinare in sempre più intime meditazioni. Follia? Chissà! La verità è che, qualche volta, si ha occasione di conoscere bene un essere umano solamente per ciò che scrive di sé, per il suo non censurare uno stato d’animo o una considerazione più che per una frequentazione assidua che, dietro l’ilarità, non edifica niente. Pensiero contorto eh? Stasera mi sento stanca (poche rughe ma, come potete notare, la vitalità di un’anziana), ho voglia di perdermi, un pochino, tra le vostre parole, leggere una bella poesia e gustarmi la cena con i miei spassosi “48” ospiti … non ho avuto il cuore di mollarli sullo zerbino, attaccati al campanello!

Grazie, a tutti, per far parte di questa variopinta famiglia on line …  – Carla –

Mi attendono, in 48, dietro l’angolo!

Immagine

Non temo l’avanzare inarrestabile del Tempo, vivendolo ho imparato a stimarlo, comprendendo che concede e non toglie.

Non disconosco la mia immagine allo specchio, il comparire di una ruga è un graffio di saggezza e un capello incolore il frammento di una poesia da consegnare a chi ricalcherà le mie orme.

Non rincorro il futuro, nostalgica del ieri, conversando con la parte più intima di me ho compreso che l’anima non avvizzisce e che conta soltanto la sua bellezza.

Cammino, felice dei miei anni, speranzosa di viverne, in salute e serenità, tanti altri!

Carla

Boomerang

 

“Chi mi ha fatto non lo sa della mia diversità, solo io lo so che alla base tornerò!”. Una frase di una canzone del 2000, “Bomba Boomerang” di P. Pelù che, da subito, mi ha fatto pensare alla versione giovane di un detto dei nonni: “Ciò che semini, raccogli!”. I gesti, di qualsiasi natura, equivalgono a messaggi lanciati in uno spazio comune, chiamato “esistenza” che, quasi fosse capace di imprimere loro memoria, impone di rientrare alla base, proprio come un boomerang, con un carico di energia raddoppiato, triplicato, moltiplicato secondo meriti o colpe. Quando il carico, in fase di rientro, consiste in un’amorevole ricompensa del destino il ricevente non avrà che da gioirne, diversamente solo il tempo per comprendere che il male genera male e, forse, di ravvedersi. “Abbracciata ad un Dio che non è di certo il mio!”. Cingere un ordigno di meschinità, farne un Credo che distorce l’etica dei più, non mi appartiene e poco importa se da scaltri si campa meglio e da apparenti stolti si annaspa per restare a galla. “Brutta storia, questa storia, per chi canta la vittoria?”. Né vincitori né vinti, si è perdenti, in ogni caso, solo per aver incrociato in modo ininfluente chi avrebbe potuto non gettare alle ortiche una chance per cambiare. Il boomerang partito dal mio cuore è tornato a casa in un momento d’interminabile sconforto, elargendomi doni infinitamente preziosi, l’affetto di persone incontrate per caso, la forza per non accettare mai la resa.  – Devo essere proprio una brava persona per meritare tanto! –  Mi viene in mente un episodio, accaduto 4 anni fa, durante un momento di condivisione e preghiera. Una giovane donna, piegata su se stessa, piangeva di un pianto silenzioso e disperato. I nostri sguardi s’incrociarono una sola volta e, riconoscendo la sofferenza che sgorgava insieme alle sue lacrime, istintivamente l’avvicinai, prendendo la sua mano e stringendole nel pugno il mio vecchio rosario, un oggetto a cui tenevo tanto e che, come per magia, riusciva ad assorbire il mio star male. Non trovai tante parole, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per il timore di una reazione infelice  – Tienilo tu, a me ha già dato tanto! –  Il silenzio ed una fuga rapida, la mia … Settimane dopo, la donna, che non avevo più veduta, mi avvicinò  – Ho da chiedere perdono a tutti, inizio da te! – mi disse, fissandomi con tenerezza mentre s’allontanava. Un ragazzo, legato a lei non saprei da quale rapporto, subito dopo, prese posto sulla mia stessa panca e con un sorriso disarmante mi ringraziò per quanto avevo fatto. Ma che cosa avevo fatto? Non l’ho mai scoperto, so solo che il gesto umano di una sconosciuta, qualcosa di non ragionato, ha aiutato chi brancolava nel buio a seguire la piccola luce della speranza. Ho solamente restituito l’amore ricevuto, aggrappandomi a quel boomerang che non attendeva che di ritornare tra le sue mani.

Carla

Come una farfalla

In questi giorni non ho avuto molto tempo per me stessa e nemmeno per l’hobby scarica tensione, lo scrivere! Rapita dalla routine ho intrappolato i pensieri tra i meandri della mente e solo adesso mi accingo a liberare quelli non ancora assopiti. Il contorno d’ogni mia riflessione, da sempre, è la musica e i testi d’alcune canzoni sembrano scritti appositamente per la circostanza. Ieri sera mi è capitato di ascoltare Irene Grandi ed un frammento di ciò che cantava, il mio cervellino lo canticchia ancora adesso  – “La farfalla ha la sua libertà nel colore, sulle ali polvere che fa volare ma, poi toccandola resta bella ma non si stacca più da terra!”  – Trovo sia una frase sensatissima e veramente intima! La farfalla è una creatura delicata che si sposta da un luogo all’altro senza fare rumore, senza intralciare il vivere altrui, di una bellezza sconvolgente, conferita dalla varietà dei colori che la vestono, che si amalgamano tra loro a formare motivi ornamentali inarrivabili. Il piacere di guardarla volteggiare, tuttavia, è qualcosa che si può infrangere con un solo tocco e farle, così, terminare il suo vagabondare. Ultimamente mi sento fragile come questo piccolo esserino alato, variopinta nell’anima, silenziosa nel gestire la mia giornata e nel comporre il futuro, senza mai coinvolgere a, tradimento, terze persone, incapace di esigere sacrifici che ciascuno deve fare da sé. Nel mio migrare sosto e poi mi libro nuovamente in volo, sapendo che il tatto, non sempre delicato, di chi mi sfiorerà, potrebbe arrestare il mio staccarmi da terra ancora una volta!

Carla

Buona Pasqua, a tutti!

Il 26 agosto 1910, a Skopje, Repubblica della Macedonia, nasceva “Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu”, una donna minuta, apparentemente fragile, la cui vita si è amorevolmente consumata tra i sentieri della povertà e sofferenza. Alle parole del premio “Nobel per la Pace” nel 1979, alla religiosa e beata albanese, fondatrice della comunità religiosa “Missionarie della Carità”, giunta al traguardo della vita umana il 5 settembre 1997, affido il mio augurio di buone feste.

“Che Dio vi renda in amore tutto l’amore che avete donato o tutta la gioia e la pace che avete seminato attorno a voi, da un capo all’atro del mondo”.

Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu – Madre Teresa di Calcutta –

Si è sempre definita una “piccola matita nelle mani del Signore” … il suo cammino possa illuminare i pensieri di chi ancora non conosce “amore”.

PS: Diversi anni fa, nella mia città, fu accolta con grande coinvolgimento emotivo. Una persona, a me cara, ebbe l’onore di farle da autista, utilizzando la propria auto … Mi sono seduta su quel sedile un’infinità di volte, sentendomi destinataria di una grazia, non sapendo che colei che amavo profondamente e consideravo nata Santa, il 19 ottobre 2003, con Papa Giovanni Paolo II lo sarebbe diventata per tutto il mondo. – Buona Pasqua –

Carla

Quant’è ripida questa salita!

È proprio vero che nella vita, per le persone comuni, nulla piove dal cielo, tutto, proprio TUTTO, si guadagna col sudore, facendosi carico di sacrifici più o meno importanti, sopportando, con il giusto spirito, la fatica. Ti svegli la mattina e, anche se l’atmosfera attorno è radiosa ed ogni cosa parla di pace, sai che dovrai indossare le scarpe più comode a tua disposizione per affrontare la camminata. Poco importa se fuori piove e t’inzupperai come un pulcino o un sole assassino farà lesso anche l’ultimo pensierino che, schiacciato in un angolino del cervello, implora pietà. È la realtà! Me lo ripeto ogni giorno, eppure, questa verità non mi consola, suppongo non consoli tanti. Osservo chi, senza muover neppure un dito, ha le mie stesse cose, quelle della maggioranza delle persone, se non di più, e il mio senso di giustizia protesta un attimino. Mi vergogno come una ladra nel provare un sentimento poco nobile, l’invidia, mista al disgusto per una condizione umana, diffusa ed intaccabile, figlia della decomposizione morale. Le mete che ciascuno si prefigge di raggiungere sono, senza dubbio, le più svariate ed arrivare a conquistarle comporta equipaggiarsi con mezzi poco sofisticati e robusti. Il mio zaino, che non poso mai, ne contiene una quantità enorme. Guardo avanti e poi alle mie spalle, rendendomi conto che la strada percorsa non è superiore a quella che ancora rimane, che la vetta è lì, confusa tra le nuvole, e che potrò smettere di preoccuparmi solo quando dalla cima scorgerò la discesa alla quale abbandonarmi senza affanni. Non si è mai soli a guardare l’orizzonte, a confidare in uno stesso sogno, in un domani “più equo” al quale manca solo l’esatta collocazione nel tempo. Non sono un mollusco, non lo è chiunque ascolta il battito di un cuore guerriero che non getta la spugna, nemmeno quando si spengono i riflettori e regna il buio. Ciascuno con la sua croce, oggi, perirà con l’Uomo dei dolori, rammentando le umiliazioni e i torti subiti, perdonando l’imperdonabile, affrontando con coraggio il calvario in direzione di una nuova vita. Il mio auguro è che tutto il bene che l’animo umano riesce ad immaginare e a desiderare possa Risorgere, in questa vita, elargendo serenità e gioia, un’anticipazione di “Paradiso”.

Carla

Profumo di pulito

I segni lasciati dalle vecchie “scottature”, spesso, sono talmente visibili che anche il solo pensiero di riesporsi ai “raggi solari” è da delirio! Istintivamente si cerca difesa con una crema solare che, indubbiamente, risparmierà dalle ustioni, ma non consentirà di raggiungere l’abbronzatura desiderata. Chi non ha provato, sulla propria pelle, il “fuoco” di una delusione può non comprendere il disperato desiderio di una barriera in grado di scongiurare quel tremendo calore e le imperfezioni cutanee, inevitabilmente, incancellabili. La mente, offuscata dai timori, innalza una barriera che consente la visione del mondo, ma non il diretto contatto con esso e l’animo accetta l’assenza di quel colorito ambrato che conferirebbe un aspetto sano, molto più gradevole del giallo malaticcio. – L’importante è non soffrire – l’unica attenuante che, in quelle occasioni, si è capaci di sfoderare! L’assenza di azzardi, il non esporsi a rischi, al mettersi in gioco senza censure, effettivamente, d’idilliaco hanno ben poco, al contrario, trasformano il vivere in un mielato e monotono vaniloquio con noi stessi. Così, ad ogni quesito corrisponde una risposta appagante o silenzi, che al massimo possono insinuare un dubbio in più ma non sfigurare al pari della brace incandescente. Per un lunghissimo periodo, schifata da relazioni umane che valutavo importanti, sono entrata a far parte della grande famiglia dei costruttori di “habitat asettici”. Nulla e nessuno doveva turbare la pace del mio pensiero, insozzare con gesti o frasi inopportune, l’equilibrio che col tempo andavo creando … La permanenza illimitata era accordata ad una ristretta cerchia di persone e, benché concedessi sempre libero accesso, al mio STOP… tutti fuori, serrande abbassate! Poco ospitale? Senza dubbio … ma innegabilmente sola “timoniere” della mia imbarcazione! Nella confusione, offerta da tanta gente che transitava e lasciava di sé qualcosa per farsi ricordare, solo “poche anime” a dar senso “vero” al mio pellegrinare di piccola mortale, a colmare i vuoti di strappi caritatevolmente non ricucibili. Il desiderio di legami stabili, all’altezza delle più recondite aspettative, dal “profumo di pulito”, non si può insabbiare, riemerge, bussando al cuore con fare insistente. Nello schiudere l’uscio, è inevitabile, il riaprirsi delle danze, l’esigere qualcosa di generoso ed intenso, diverso dal miserabile artefatto, confidando in una maturità un po’ più attenta e selettiva capace di sgamare le fregature.

Carla

 

Amore Mio … sarò la tua “gabbia”!

Due amici:

– Aperitivo al solito posto? –

– Non posso, mi piacerebbe ma proprio non posso … hai idea della piazzata che mi farebbe lei? –

– Giro in barca, domenica mattina? –

– Magari! È improponibile, escogiterebbe un modo per farmela scontare! –

 

Regressione, ecco il nome appropriato per definire una simile condizione. Da ragazzo recidi il cordone ombelicale tanto amato da tua madre, entri in conflitto con tuo padre per carenza d’ossigeno e da adulto ti converti nel figlio “interdetto” della tua donna? Accade, accade di frequente, a discapito di amicizie di lunga data, ai danni di una relazione, niente affatto paritaria, tra recluso e carceriere, in cui la parola AMORE  non è altro che un’accozzaglia di lettere gettate lungo il sentiero della vita di coppia. Le donne, e lo dice una donna (il tacco 12, ogni tanto, va considerato un optional, soprattutto se il piedino è il ben noto 34 e si deve accontentare delle sexyssime “Chicco”), sono professioniste nel togliere l’aria, abilissime nell’affondare i dentini nella giugulare del proprio uomo e ciucciare anche l’ultima stilla di sentimento che nel tempo non fluirà più. – Siamo una coppia, dobbiamo fare tutto insieme! – la sentenza di morte per asfissia meccanica. Amava ballare, giocare a calcetto, l’escursionismo, sciare, regalarsi due risate in compagnia, le confidenze con l’amico del cuore? Andranno, forzatamente, sacrificate sull’altare del “noi” … Si può parlare di un “noi” quando il prezzo da pagare non solo è a senso unico ma consta della restrizione della libertà personale? Caspita, sono tutte cose da fare in mezzo alla gente, in luoghi pubblici … Avete mai visto piste innevate percorse da soggetti svestiti? Un torneo di calcetto tra “accasati” e “assatanate”? Corsi di ballo a luci rosse? – È sospettosa! – direbbe lui … – Noooo è egoista e prepotente! – risponderebbe chi è dotata di un minimo di equilibrio emotivo. Le catene, i muri che impediscono la visuale non sono un deterrente, la garanzia di un viaggio a due inossidabile, quanto la desertificazione, spazi comuni in cui non potrà sopravvivere o germogliare più niente. La fiducia, la gioia nel vedere chi s’ama sorridere nel fare cose lontane dal raggiro o cattiveria, dove finiscono? La stretta della morsa di una donna va chiamata “Gelosia”, sana possessività amorosa, quella di un uomo “Ossessione” ingiustificata. E se lui imponesse regole di uguale tenore? Niente parrucchiere, è un uomo e palpeggia la testa, niente ceretta, non è necessaria l’ammirazione di terzi, niente negozi in sua assenza perché luoghi frequentatissimi, di sicura perdizione.  Siete una coppia? Va bene! Lui si tiene la pancetta, cammina sotto braccio alla solitudine, nota a chi non ha più nemmeno un amico, ma tu non ti lamenti per una ravvicinata somiglianza con un Orso Marsicano e del Soriano che ti dimora sotto il naso. I “Ti  Amo” non dovrebbero mai essere merce di scambio o bolle di sapone affidate al vento.

Carla

Dardos Award

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Sorrido … Un misto di gioia e stupore, forse, più stupore, si sono affacciati alla mia porta! Ringrazio Carol e Samanta, che con i loro rispettivi blog

http://carolinsigna.com e http://samantagiambarresi.wordpress.com sono diventate presenze quotidiane  importanti, per la gradita, graditissima nomination “Dardos Award”.

Nomino, a mia volta, coloro che ritengo meritevoli, ciascuno per una sia peculiarità.

  • Martahttp://tramedipensieri.wordpress.com per la passione con cui intreccia sentimenti e parole.

     

    Grazie, ancora, a Carol e Samanta.                              Carla

 

 

 

 

 

Lo specchio

Lo Specchio, amico schietto al quale domandare il miracolo della verità e trasparenza, riflette un’immagine familiare, la nostra! A tratti abbiamo la capacità di riconoscerci, in altri ci rincorriamo, affannosamente, scoprendo quella parte di noi confusa e spaventata per il relazionarsi col futuro. Il vivere, visto attraverso occhi intimoriti, ha le fattezze di una giostra, affollata ed impazzita, che nel suo incessante “ruotare” si carica d’eventi che la mente vorrebbe smembrare alla ricerca di un senso, della scintilla che li ha generati, dell’energia che li ha nutriti e portati a maturazione. Immobili, come davanti ad oracoli, pazientemente in attesa di risposte beffarde che, ancor prima d’essere acquisite, si trasformano, riscrivendo le previsioni, non conosciamo la resa! Noncuranti dell’ennesima inondazione che, a tradimento, ci ha presi alle spalle, abbattendo gli argini, tenacemente edificati o fortificati, rimuoviamo i detriti, rinvenendo le origini. Snervati, inquieti, audaci nell’inventare castelli tra le nubi, tra un sorriso e una lacrima, attraversando i sentieri dello sguardo, tocchiamo l’anima e lo specchio, nemico soltanto del più bieco dissimulatore, restituirà un’immagine, verosimilmente, sofferta ma pulita … la nostra!

Carla

Nel Blu

Ci sono momenti giallo oro di passione,

momenti rosso porpora in cui perdi la ragione,

momenti di noia grigio-verde militare,

momenti azzurro cielo in cui volare,

ma arriva sempre il momento in cui devi scivolare giù, fino in fondo al Blu …

Deserti di bianco sale,

terra nera della luna che conviene non toccare,

veli di nebbia non ti lasciano passare,

qualche lungo ponte da attraversare,

ma arriva sempre il momento in cui devi scivolare su, fino in cima al Blu …

Quarti di tono di musiche lontane,

echi di barocco nell’acqua di un canale,

impulsi tipo cover e sequenza digitale,

segnali di tamburi nella giungla tropicale,

ma arriva sempre il momento in cui devi suonare il Blu …

– Eugenio Finardi –

… nonostante i “veli di nebbia” non facili da passare e un “lungo ponte” da attraversare, il “giallo oro” e “l’azzurro cielo” mi vestono totalmente. Sono pronta a “scivolare nel BLU”, a sfidare le sempre più ripide salite dell’esistenza umana.

Carla

 

Giuste reazioni!

– “Porgi l’altra guancia!” –

Stupendo, perfetto, dà modo di andare a dormire con l’animo “smacchiato”, di farci sentire fieri di noi stessi, orgogliosi d’atteggiamenti che dovrebbero insegnare al prossimo a comportarsi in modo migliore. Siamo così, ci viene spontaneo insistere, eppure, ogni tanto penso ci siano passate per la mente le domande: “Che favoletta mi sto raccontando? Nell’immediato che ci guadagno?”. Niente, niente di niente! Esclusa la coscienza, che sembra lavata con la candeggina che la nonnina di una nota pubblicità elogiava con una sprovveduta nipotina, solamente dispiaceri e il diventare bersagli di un menefreghismo che agguanta ciò che piace e, senza sensi di colpa, spolpa fino all’osso la preda. La disponibilità è confusa con il diritto a prendere, sempre e comunque, ad abbattere qualsiasi confine che separa il nostro essere dal mondo esterno. Mi è capitato di sentirmi come un’abitazione saccheggiata, come un giardino dal cancello forzato ed esposto ad atti vandalici d’ogni genere. Per un’educazione nata con me, in passato per un sentimento calpestato e rinnegato, per il naturale rispetto verso la vita in ogni sua forma, non sono stata capace di porre l’accento sull’egoismo altrui e con i miei interminabili silenzi, probabilmente, ho coltivato l’illusione di una cascata di “luce divina” capace di correggere menti distorte. La rabbia, per una prolungata permanenza, riusciva a formare la ruggine sul cuore, ad alimentare un vivere asfittico, refrattario alla ribellione. Ho indossato le vesti della stolta, del burattino con fili tesi in alto, ma non ero, non lo sono, non lo sono mai stata! Non chiedevo la luna, desideravo solo l’intoccabile rispetto e “distacco” che dovrebbe regolare ogni rapporto interpersonale. Alcuni legami germogliano e muoiono malsani …

Carla

In un rapporto di “amicizia”

La “costanza”, in un rapporto di amicizia, ha un ruolo determinante quando è intesa quale pilastro portante dei rapporti umani, la linfa che nutre il rispetto, la lealtà e scorta il cammino di chi ha la fortuna d’averla come compagna di viaggio. Alla luce di un’attenta valutazione, credo d’essere giunta ad una mia personalissima conclusione, a ricamare una tela che, agli occhi del mondo, potrebbe apparire un raccapricciante groviglio di fili o un’immagine nitida dai colori male assortiti e, solo alla via vista, ed è ciò che m’interessa, la narrazione di chi sono, di quanto ho da offrire e di quanto, umanamente, chiedo. Dinanzi all’amicizia non si dovrebbe, mai, domandare o pretendere … esatto? Si dovrebbe aspirare a “dare”, perché è nell’offrire a piene mani che si nutre il proprio animo … vero, verissimo, se fossimo gelidi sassi, corpi inanimati … ma non lo siamo! L’albero che genera sempre nuovi frutti, non sarà più in grado di produrli in assenza d’acqua e perirà sotto la calura, nel tentativo disperato di incuneare a fondo le radici alla ricerca di nutrimento. L’amica/o dovrebbe essere una figura che ci segue in silenzio, come un’ombra, che chiede ed offre un bene che ha un solo nome, “condivisione”, che comprende i silenzi gonfi di parole, che tende una mano non chiesta e non esige una quotidianità ossessiva e patologica. L’amicizia è un sentiero, un susseguirsi di salite e discese, di sassolini nelle scarpe, di gioie ed emozioni inesprimibili, un benevolo sortilegio che concede di voltare lo sguardo e sussurrare “hei, vorrei dirti che …” sapendo di non essere soli!

Carla

Mondo ancora troppo maschilista?

È inutile che ci prendiamo in giro, il gentil sesso ha, certamente, ottenuto maggiore spazio in un “mondo” che fino a meno di 100 anni fa era tutto al maschile, eppure, i suoi ruoli restano ancora marginali. L’importanza che la società, spesso per consuetudine, da al sesso forte, in certi frangenti suona un po’ come un’ingiustizia! Potrei tirare in ballo un’infinità di esempi ma credo sia sufficiente riportarne 2 per spalancare la porta del mio pensiero.

  1. Anna Bianchi e Mario Rossi si sposano. Anna diventa la Signora Rossi, Mario non diventa il Signor Bianchi! Si domanda, forse, quale cognome si intende adottare per identificare il nuovo nucleo familiare? Va beh, poco male, ciascuno, anagraficamente, continuerà a mantenere la sua identità.

  2. Anna e Mario diventano genitori. Automaticamente, al piccolo, verrà assegnato il cognome paterno! Generosità smisurata nei riguardi della povera mamma eh? Nulla di personale nei confronti del neo paparino, sia chiaro, ma l’altra parte in causa ha contribuito, e non poco, nella realizzazione del capolavoro! Prendere in considerazione il cognome materno, non impegolandosi tra i meandri della burocrazia, nooo? Sottolineare, di diritto, l’importanza di ciascun genitore, non sminuire 9 mesi di gravidanza, per alcune donne rischiosi e problematici, attribuendo il doppio cognome, Rossi-Bianchi, risuonerebbe come un piccolo gesto dal gusto di equità.

         Carla

La Bambola

Parecchi anni fa, quando ne avevo 17, per l’esattezza, mia madre mi regalò una bambola. Nonostante l’età adulta, non era la prima volta che ricevevo un simile dono, l’amore per questo genere di pensieri, infatti, indirizzava ed indirizza, ancor oggi, chi mi conosce verso scelte di sicuro gradimento. La Bambola in questione mi fu donata senza attendere una ricorrenza particolare, mamma era uscita a fare le solite compere e nella vetrina di un negozio, che trattava oggetti di porcellana, bomboniere e varie, vedendo esposte svariate “Bimbe”, dagli abitini curati nei più piccoli dettagli e volti dalle espressioni umane, si lasciò sedurre da una in particolare, acquistandola. Tornata a casa, raggiante di potermi sorprendere, la posò, ancora impacchettata, sul mio letto, attendendo il mio rientro da scuola.       – Appena l’ho vista ho pensato a te … spero ti piaccia! – disse, indicandola. Spacchettai quel grosso fagotto, con lo stesso entusiasmo di un bambino, travolta da una curiosità viva che, nel ritrovarmi in mano quella “creatura”, si fece sbigottimento. Aveva un qualcosa di familiare che m’infastidiva ma non riuscivo a capir cosa! Guardai mamma e non servirono parole, da sola realizzò che avevo apprezzato ma era necessaria una spiegazione. – L’ho comprata perché il suo volto, i suoi grandi occhi scuri e le labbra che accennano un sorriso, mi fanno pensare a te da piccolina … – chiarì, con gli occhi illuminati di felicità. L’abbracciai, comprendendo il valore affettivo di quel gesto, ma l’antipatia per quel bambolotto, che mi rendeva eterna bambina, non svanì rapidamente. Ora che i 17 anni non ci sono più e sono una donna, che aspetta al varco l’invasione barbarica delle rughe, non provo che piacere nel possederla. Ho chiaro l’amore che mia madre ha per me e mi lusinga che il suo animo riesca a vedermi perfetta e così bella. “Ti voglio bene mamma ed ogni volta che in me intravedo un tuo modo di fare, una tua passione che in qualche modo ho fatto mia, nel più profondo, in un dolce silenzio, ti ringrazio!”.

Carla

Tipi/e da spiaggia!

 

Giornate veramente calde, nei giorni scorsi, sembravano anticipare un’estate pronta ad esplodere, quel calore “africano” caratteristico di questa terra, una stagione che, nel mio caso, è un nutrito raccoglitore di ricordi. La spiaggia, dove si fugge non appena è possibile, è il singolare palcoscenico dove s’intrecciano miriadi di attrazioni, più o meno intense e durature, dove nascono nuove amicizie o, più semplicemente, spensierate relazioni destinate ad estinguersi a fine vacanza, dove sfilano in una passerella, a volte un po’ accentratrice, corpi mezzi nudi d’ogni età e per tutti i gusti. Per noi donne si scatena il panico al solo pensiero della “prova bikini”e, seguendo due differenti scuole di pensiero, per raggiungere l’illusione di una linea da “top model”, scattano, con largo anticipo, le sudate in palestra o per l’attività fisica all’aperto e un regime alimentare bilanciato, oppure, le diete fai da te dell’ultimo minuto, atrocità che non minacciano il peso ma solo l’umore. Distese sul nostro amato telo mare, digrigniamo i denti nel notare la vicina di ombrellone che calamita su di sé tutti gli sguardi dei maschietti, attratti da due “air bag” regolati dal gommista di fiducia e da un “paraurti perizomato” dal filo interdentale che non conosce luce! Non comprendiamo perché 190 cm di ragazzone, che a guardarlo bene fa la ceretta totale con una frequenza maggiore della nostra, integralmente spennellato di olio solare al cocco (che attrae le api e lo avvicina più ad un tacchino preparato per il forno) che ne esalta la muscolatura da brivido, non ci veda affatto! E se inciampasse e s’impanasse sulla sabbia? Siiiiii!!!! Non saremo perfette, forse, ma quel che mostriamo è tutto “genuino”, CARI UOMINI!

Carla

La sera

“La sera quando scende non mi guarda mica in faccia, prende tutti i miei ricordi tra le gambe, tra le braccia. La sera quando scende non si accorge mai di me, che lontanamente resto ad osservare questo cielo su di me …”. Mi piace questa canzone di Miguel Bosè, ha un testo semplice, degno di una pausa di riflessione. Il calare della sera, in un passato recente, riusciva a gettarmi addosso la percezione di una radicata tristezza che, talvolta, sfociava in logoranti silenzi e attacchi di panico, gestiti a stento, quasi una strana presenza vagabondasse in me, beffandosi della mia disperazione nel non riuscire ad acciuffarla e sbatterla fuori definitivamente. L’irruenza dei cambiamenti, il miraggio di un eden che cancellasse ciò che imbruttiva il panorama, le pressioni esterne, l’egoismo esercitato da chi, alla tavola della vita, si era sempre abbuffato, incurante della mia fame, un’ombra sul mio spirito solare e assetato di vita. Avevo l’impressione di stare ad imballare tutte le mie cose, in un incessante rewind, ed ogni oggetto che tenevo tra le mani riportava alla mente immagini, suoni, sapori andati. Avrei voluto perdermi in una nuvola di talco, chiudere gli occhi e riscoprirmi la bambina che, fuori dal portone della scuola, aspettava sua madre per correrle tra le braccia ed annusarne l’amabile profumo di buono. Sarà vero che non si cresce mai fino in fondo e quando si sente l’acqua alla gola, d’istinto, si urla “MAMMAAAA”? La sera, adesso, quando cala mi posa sulle spalle uno scialle di stelle e speranza, l’assenza del risentimento e una memoria in grado di mettere a fuoco soltanto “volti amici”.

Carla

Adottare un bambino

Un gesto d’amore rilevante, un impegno senza scadenza che può cambiare in meglio la vita di coloro che aprono la porta della propria casa e di chi, finalmente, avrà una casa! Rischierò di risultare impopolare, riceverò qualche commento di dissenso, non m’importa, accetto il confronto, conscia che, nei dovuti toni, non potrà che arricchirmi. Accendere la tv, sfogliare un quotidiano o un settimanale, che non sia scandalistico, è per me una tortura lenta ed incessante, quando si tratta di cuccioli d’uomo privi di mezzi per sopravvivere. Orfanotrofi lager, in paesi neanche troppo lontani dal nostro, accolgono, fino alla saturazione, bimbi sfamati con ciò che andrebbe chiamato con il giusto nome, “avanzo” e non “pasto”, puniti con aggressioni fisiche, scorticati psicologicamente fino a minarne la personalità, Case famiglia, nel nostro, più spesso di quanto si creda, la cronaca lo riporta, fanno della vita di un bambino un introito sicuro, trascurando la sua esigenza di essere amato da un papà e da una mamma di cuore e non di pancia. – Possiamo essere meno egoisti? – Saremo in grado esserlo, SI! Sarebbe sufficiente pensarla in modo “alternativo”, vedere nel bimbo da adottare un fratellino o una sorellina per quello che, forse, già c’è. I bambini non sono sempre e solo di chi li genera biologicamente o li partorisce ma di chi li cresce, diversamente, non potrei spiegarmi perché tanti finiscono in mezzo ai rifiuti, annegano in un wc o trovano la morte per mano di uno dei genitori! Anni fa, per puro caso, ascoltai un discorso tra bambini che giocavano per strada, quando, ad uno di loro, ingenuamente, fu fatto notare che in passato aveva un cognome diverso e che chiamava “mamma e papà” due persone che, evidentemente, non lo erano. Restai in silenzio, dispiaciuta per quelle affermazioni, dette senza alcuna cattiveria, ma che avrebbero potuto ugualmente ferirlo, invece, con mia enorme gioia, dalla bocca dell’interessato uscì una risposta intelligente e positiva – Voi siete nati dai vostri genitori e questo succede a tutti i bambini, io sono stato scelto come figlio! – Ho ammirato le persone che gli hanno donato una famiglia, il modo in cui gli trasmettevano valori fondamentali e un po’ mi sono vergognata per lo stupore che ancora suscita l’essere figlio non naturale. Ad alcune coppie il destino nega la gioia di generare nuova vita, eppure, chiuse come ricci, non prendono nemmeno in considerazione l’argomento adozione. Perché? Perché? Perché? Comprendo il desiderio di un batuffolo che somigli loro, è un sogno comune, un dono che auspico Dio conceda a chi attende il grande miracolo della vita, nel contempo spero in tante porte aperte, meno occhi velati di lacrime e più sorrisi sui volti di piccoli angeli che non hanno chiesto di venire al mondo e meritano di vivere nell’amore.

Carla