Nessun Miracolo!

“Il legno marcio non può essere scolpito!”, recita un proverbio cinese e Dio solo sa quanto sia veritiero. Un dato poco consolante, NO? Di positivo c’è che alla fine, dopo essersi pelati le mani e fusi il cervello, nel tentativo di dare grazia a ciò che è informe, giunge il famoso “lampo di genio” ed appare inequivocabile che, per parecchie tristi realtà, si può solo sperare in un miracolo. Da ragazza, conobbi un “legno” per il quale la possibilità di un prodigio era assai remota, in concreto, impossibile! Non ho idea di che fine abbia fatto e, in tutta sincerità, non m’importa … da quel ceppo, che s’atteggiava a materiale di prima qualità, a parer mio, nessuno avrebbe potuto o potrebbe, ammesso sia ancora in circolazione, ricavare niente di grazioso. Cucire toppe colorate sugli strappi, li occulta ma non li cancella, sfinirsi per rendere confortevole il percorso di talune persone, non ottenendo il più piccolo risultato, equivale a tentare di riempire una caraffa senza fondo che mai sarà piena. È pur vero che lo scopo si raggiunge solamente trovando dei punti d’accordo, almeno provandoci, e non certo rincorrendo e agganciandosi con le unghie alla pretesa di viver sentenziando. Piacere a tutti è utopia, dato di fatto che non ho mai perso di vista, nemmeno da bambina, ma è di così vitale importanza? Conta il poter garantire armonia ed equilibrio alla propria coscienza, la certezza d’aver dato il massimo a dispetto delle tante difficoltà. Il legno marcio, trattato da pregiato, ha dato origine a più d’un pezzo d’arredamento, dal gusto soggettivo, apprezzato o disdegnato, voluto fortemente o accantonato, ma chiunque ne possiede uno, se non mente a se stesso, sa che è solo questione di tempo e un nulla lo ridurrà polvere. Un torrente di emozioni e una scorta inesauribile d’affetto da donare, oggi come allora, m’impediscono di gettare petali di me in un secchione!

Carla

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Offrire? Ricevere?

Offrire? Ricevere?

L’altruista è certamente fautore del primo stile di vita, l’egoista pronto a sposare, integralmente, il secondo che, senza alcun dispendio d’energie, mette a disposizione tutto ciò che rende piacevole il quotidiano. È fuor di dubbio che il poter avere ciò piace possa essere una ghiotta tentazione, ma che mestizia! Cibarsi, senza ritegno, d’ogni golosità a portata di mano, appaga di sicuro la carne e lo spirito? L’animo che posto ha nella nostra scala dei valori? Che significato sappiamo attribuire all’essere piuttosto che all’avere? Chi riesce a provare gioia nel mettersi a disposizione del prossimo e riconosce nel semplice sorriso una ricompensa di gran valore è forse un folle? Già sento la moltitudine che urla “E’ PAZZO … E’ PAZZO!”. In verità non lo è, proprio per niente, è una splendida perla naturale che, nella collana cha adorna il collo del mondo, spicca più delle altre e che, solo un vero intenditore, non confonderebbe mai con scialbe imitazioni. Io appartengo alla categoria “svitati”, non v’è dubbio, e forse la mia condizione di pazza, senza speranza, mi porta a gioire con poco, a sentire un piacevole ribollire, difficile da spiegare, tutte le volte che riesco a donare un qualcosa che chi riceve sente importante. La magia, la favola, il fine stesso dell’esistenza umana è forse il prodigarsi, il non domandare, lo stupirsi nell’incrociare altri individui affetti da “follia” che, con estrema naturalezza, riempiono il nostro sacco vuoto, figure che pur diverse nell’aspetto sono la nostra immagine riflessa su uno specchio!

Carla

Tutto & Subito

Schiavi dell’impazienza, ossessionati dall’idea di raggiungere in tempi ridottissimi gli obiettivi prefissati, di non finire tra la folla di sfigati, senza speranza alcuna di successo, inconsapevoli vittime della smania di arrivare “primi”. Cronometrando anche il più piccolo respiro, che pare togliere velocità alla gara, si corre. Si gareggia, portando addosso la disperazione di chi teme di assaporare la sconfitta. I giorni diventano ostacoli, da sormontare senza esitazione, e il mondo si trasforma nella giuria che darà un voto ad ogni nostra prestazione. Si corre senza fiato e un solo pensiero, quello di superare chi è primo. TUTTO & SUBITO il senso della vita?

Carla

Quanto ci conosciamo?

“Non è la morte che mi fa paura,

ma una vita senza novità,

nessuno guarda mai la sua parte oscura

ed è per questo che a volte

ci conosciamo a metà … /

/ … e se il futuro ci sta aspettando,

sarebbe già questa una novità,

speriamo di non essere in ritardo,

e che il futuro come il resto

non sia passato già …”

Sono due frammenti di una canzone che adoro: “Tutto quello che so” di Luca Barbarossa, motivo di riflessione in questo periodo un po’ altalenante in cui, causa lutti e considerazioni sulla fragilità della vita, non mi sento né cielo né terra! Non temo la vita in se stessa, fatta di tappe obbligatorie, identiche per tutti, non correggibili con ricchezze, conoscenze altolocate o altro, ho il terrore, misto al disgusto, per l’assenza di novità che portino ossigeno, per l’eventuale presenza, incombente, di un’aria tossica che conduce a morte lenta e certa. Chi può affermare di conoscersi totalmente? Chi attraversa senza indugi la sua parte oscura, nel tentativo di portarvi la luce? Poche persone, credo, se non altro perché chi si conosce a 360°, soffre per le proprie debolezze … nessuno, di fatto, è dispensato da vulnerabilità! Ignorare quel che rende fragili, d’altra parte, è spaventosamente comodo e garantisce le debite distanze dalle amarezze! Il futuro mi sta aspettando e, pur desiderando il contrario, bisognosa di una pausa “cerotto”, sono in perfetto orario. Vorrei trovare un “angelo” fuori della mia porta, un fedele compagno di viaggio capace di non farmi dimenticare il tepore di un sorriso …

Ciao zio Elia … Ciao zio Fausto … vegliate su di noi! Vi voglio bene.

Carla

“Impiccione per piacere” … il mio Buon Natale x voi!

Vi regalo, legato alla coda di un “sincero augurio di festività serene”, un racconto che si classificò 7° al primo concorso Comici Spaventati Scrittori.

 

“Ma pensate ai fatti vostri!”. Vorrei gridarlo, abbandonandomi all’isteria, tutte le volte che  divento, mio malgrado, la “Missione Compassionevole” con la quale le amiche pensano di collezionare qualche bollino in più della demente raccolta punti per l’ingresso in Paradiso. Mi mordo la lingua e sto zitta. Eh, certo! Le “Crocerossine dell’amore” non s’intromettono perché non hanno nulla di meglio da fare, NO, lo fanno solamente perché spezza il cuore il vedermi sola, come un paio di calzini, ancora nuovi, ma scompagnati. “Ma chi vi ha chiesto niente!”. Delle mie amiche storiche, quelle che non si scelgono ma sono parte dei cimeli dell’asilo e che ti restano addosso  gradite come le cicatrici di una caduta, Tina, Rina e Rosamaria, che menzionate in questo ordine fanno pensare alle tre caravelle di Colombo, e viste le ricordano per la stazza, la più tenace è Rosamaria, ribattezzata, affettuosamente, “Dolce Forno”. In sette anni di matrimonio ha sfornato quattro bei marmocchi. C’è chi si abitua a portare gli occhiali, chi a fare il braccio di ferro col colesterolo impazzito o, in nome di una forma fisica che allontani l’idea della balena arenata, a tollerare le faticate in palestra, chi, come lei,  ad indossare il pancione. Niente da dire, Valfrido, suo marito, è un eccezionale panificatore! Come donnina è niente male, urticante al pari di un pullover d’orbace, non molla la presa finché la vittima della sua illogicità  non si arrende per disperazione. Rina è fidanzata da sempre, e non con lo stesso tipo, perché nessuno si rivela mai alla sua altezza. L’amore, visto dalla sua prospettiva, è un po’ come l’influenza, la becca una volta l’anno, la smaltisce a letto, e le passa in fretta. Nel presentarci la nuova conquista, assicura, senza eccezione, che è la volta buona, che sarà lui il compagno per la vita e, puntualmente, quasi si portasse rogna da sola, l’incantesimo si spezza e al principe, tornato rospo, regala un biglietto, sola andata, per un famoso paese che nessuno vorrebbe mai andare a vedere. Tina, cervellotica del gruppo, è una accanita sostenitrice del calcolo delle probabilità e dell’ottimizzazione del tempo, insomma, una rompi palle mimetizzata da intellettuale, la cui vicinanza prolungata fa desiderare l’eutanasia. Ha sposato Nils, un ginecologo norvegese, che ha i suoi ritmi cerebrali e la medesima inclinazione a frantumare i fratelli dei paesi bassi. Il loro rapporto non conosce scossoni, spianato più del tavoliere delle puglie, è il prodotto di un’esasperante pianificazione, dove gli incontri intimi hanno scadenza bimestrale, ai quali accompagnano una reciproca valutazione sulla performance , e l’elemento sorpresa è una figura aliena, conosciuta solo per sentito dire. Il loro bimbo, Aronne, non è stato concepito per tentativi, come avviene per qualsiasi coppia “normale”, ma in seguito ad un’elaborata previsione con la quale, il seminatore del freddo, aveva enormi possibilità di colpire e lasciare il segno, un po’ come Zorro. A rotazione, con la stessa leggerezza di uno schiacciasassi, hanno cercato di appiopparmi ogni maschio disponibile del loro parentado,  risparmiandomi  il nonno di Tina e non per questioni anagrafiche, visto che pur di accasarmi non buttano via niente, quanto perché, dopo un ictus e con un enfisema polmonare, per la cariatide potevo essere fatale. “E al mio stomaco ci pensa qualcuno?”. OK, dicono che sono di bocca buona, per le pietanze però e, in ogni caso, nessuno mi ha ancora vista fare il doppio salto mortale, all’indietro, per il pane raffermo. Non ho mai preteso un Adone, sia chiaro, ma chiedermi di accontentarmi di un habitué della rianimazione, mi pare veramente troppo! Ho quarantadue anni e, al momento, mi sento distante dall’imbalsamazione, non credo d’essere già scivolata nella fascia delle “disperate”, potenziale acquirente dell’uomo in saldo o, peggio ancora, della malinconica giacenza di magazzino. Le eccentriche comari, esaurite le scorte umane più facilmente reperibili, i parenti, personaggi pittoreschi come il cugino Calogero, infermiere palermitano con l’hobby culinario, al quale devo il riacutizzarsi della colite, o lo zio Reinar, giovanile imprenditore di Belluno, survivor dei figli dei fiori e loro mito, si sono fiondate sugli amici dei compagni e su qualsiasi individuo con ancora un’attività respiratoria. Dovrei aver imparato a difendermi dalle loro fregature, a sentire l’avvicinarsi dei cataclismi, prima di venirne travolta, macché,  sono un caso senza speranza! Dall’ultima rarità, Miro, che potrei definire un libro dalla copertina, in pelle, finemente rilegata e con le pagine sciacquate in candeggina, fuggo ancora. Bello & Impossibile? Magari! Avrei sentito il ribollire di un sano istinto primordiale: la Caccia. Ma quale ribollire? Ma quale istinto? Solamente la vera essenza della noia e l’ebbrezza che da una sanguisuga appesa alla giugulare.  So tutto io! Oh quanto sono perfetto! Tutte mi vogliono e nessuna mi merita! Miro? Mira ad altezza umana, forse qualcosa la rimedi! Potrei mettere un annuncio: A.A.A. Cercasi encefalo maschile non necessariamente accompagnato da muscolatura esagerata. In fin dei conti l’amore è una bizzarra alchimia: nasce nella testa, prima di stabilirsi nel cuore.

Carla

Che stress!!!

Mancano pochi giorni a Natale ma lo “stress” delle feste mi ha sdraiata in anticipo. L’incubo più grande sono i REGALI, fatti quasi per dovere, quelli che fanno ammattire, legati all’esasperato evitare di comprare cose che poi finiranno cestinate, riciclate e qualche volta rivendute. Il massimo è quando te le ripropongono, l’anno dopo, proprio coloro che le hanno ricevute e non lo ricordano! Gli “arrivi” non sono poi una sorte migliore e possono essere in grado di procurare effetti urticanti degni di nota … Chi non ha mai ricevuto, almeno una volta, un super cestino di viveri? Il contenuto, che occupa un volume pazzesco e non si mangia neanche con la canna di un fucile puntato alla tempia, nuoce gravemente alla salute: torroni di marmo e caramelle gelatinose per la gioia dei dentisti, confettini alle erbe alpine che lasciano in bocca il sapore di una brucata, liquori che solo per inalazione non fanno superare l’alcool test e, meraviglia delle meraviglie, lo zampone con il suo benefico concentrato di grasso. Niente cibo? Si salvi chi può!!! L’abbigliamento è la variante del castigo natalizio ed offre delle incredibili sfumature che vanno dal “pre-pensione” al “metti in mostra quel che hai o non ti s’accatta nessuno!”, che si è costretti ad indossare, almeno una volta, in segno di gradimento, pregando di non essere visti da nessun conoscente. E i piccoli elettrodomestici? Tostapane, frullatore, spremiagrumi … carini, si si, ma inutili quando si possiedono già! Disperazione!!! L’idea di una bancarella per scaricarli al miglior offerente, insieme a quelli che si sono accatastati nel ripostiglio, nel corso dei vari compleanni, anniversari e festività, si fa irresistibile. Il regalo di Natale dovrebbe essere un “pensiero” che, al di là del valore economico, possa far capire, a chi lo riceve, che conosciamo la profondità dei suoi pensieri, la grandezza della sua sensibilità e i colori dei sentieri nei quali cammina …

Nel mio caso, un dono gradito è, senza ombra di dubbio, un libro!

Carla

Amore per gli “Animali”.

“Animali” è un termine che non amo, dal suono decisamente antipatico, se riferito ai miei affetti a quattro zampe, preferisco definirli “Amici” che parlano una lingua diversa dalla mia, meravigliose creature che non sempre hanno la fortuna di nascere per vivere un’esistenza felice, attorniate da vero amore. Cani & Gatti sono, fra tutti, i più presenti nelle nostre case, quelli che più si adattano all’atmosfera familiare e, senza dubbio, i più “sfigati” quando padroni sconsiderati decidono per loro, senza un briciolo d’umanità, una sorte ignobile. Il bel gattone, che da cuccioletto dormiva sul divano, inteneriva per le dimensioni ridotte e gli occhietti vispetti che, seguendo il consiglio di amici o del veterinario, è stato sterilizzato, finisce, se ha fortuna, nel cortile di casa. TESTE DI RAPA! Avete la più pallida idea di quelle che sono le sue capacità di adattarsi? Scarsissime giacché tra le mura domestiche ha esigenze limitate alle coccole, alla sua igiene e al cibo, di sicuro non è abituato alle intemperie e quel che è peggio, da micio “sessualmente modificato” non possiede più l’indole da “guerriero”, trasformandosi nel “sacco” per allenamenti di tutti i suoi simili. In tempi ristretti si ridurrà ad un “cosetto” magro, con la pelliccia tutta strappata, ricoperto da graffi infetti e morsi profondi, che al 90% gli regalerà la rogna. MA BRAVI, COMPLIMENTI VIVISSIMI! E il cane? Ricordo, parecchi anni fa, la moda dei cuccioletti del film “La carica dei 101”, si faceva a gara per regalarne uno al proprio bambino! Quanti di loro crescendo, nella migliore delle ipotesi, sono stati scaricati a terzi o crudelmente abbandonati al loro destino, lontani decine di km da casa, in aperta campagna, in riva al mare o sul bordo di una strada, ad attendere morte sicura? Adottare un cucciolo non è un gioco, è un gesto che cambia le nostre abitudini e che, conseguentemente, non va mai fatto d’impulso ma con la consapevolezza di mantener fede all’impegno preso. La domanda “CHI E’ IL VERO ANIMALE?” in alcuni casi trova nell’immediato il SOGGETTO! I canili pullulano di “personcine” desiderose di amore e pronte a morire per ricambiare ogni nostra carineria e nei rifugi per gatti si trovano micini per tutti i gusti che, contrariamente a quel che si crede, non sono opportunisti e traditori ma capaci di conquistarsi un posto speciale nel nostro cuore.

Una carezza al mio Cirillo che, se esiste un posto in Paradiso anche per loro, rincontrerò sulla soglia.

Carla

Macho o Coniglietto?

Da che esiste il mondo, l’atmosfera salottiera che si crea tra sole esponenti del gentil sesso, ha come fulcro una sola vittima, L’UOMO, esaminato con la stessa meticolosità di un raro reperto archeologico, studiato come fosse un animale in  via di estinzione e “bollato”, senza compassione, con le più impressionanti delle etichette! Spietate ed aggressive, come leonesse chiuse in gabbia, non ci facciamo troppi scrupoli nel generalizzare e decidere di partire per spedizioni punitive che non lasceranno superstiti. Se un uomo sbaglia, trascina in disgrazia l’intera categoria: TUTTI BUGIARDI, TRADITORI, INSENSIBILI ED OPPORTUNISTI, INVERTEBRATI! Solo azioni plateali, da veri “paladini dell’amore” sapranno cancellare la macchia e far sperare loro in un perdono.  In verità non ci accorgiamo che in svariate occasioni, davanti alle biforcazioni, alle scelte di un certo peso, non siamo né carne né pesce.  Il macho, il più quotato in assoluto, l’uomo che non deve chiedere mai, la ragione di tutti i nostri tormenti, il destinatario delle peggiori sfighe che si possano immaginare, l’oggetto del nostro odio-amore, non si sa bene perché, più ci tortura, facendoci apparire non più importanti di uno zerbino, più riesce a ridicolizzarci e farci sentire affette da idiozia acuta, ogni volta che gli rovesciamo addosso la nostra passione, più ci piace! Il coniglietto, il tenero peluche da stropicciare, è il sogno di una ristretta minoranza, donne poco propense a baciare la terra dove l’amato cammina e per certo più felici di essere idolatrate, servite e riverite come sovrane incontrastate dell’intera galassia. Le altre, questo tipo d’uomo, lo sponsorizzano come l’ultima spiaggia, per evitarsi nottate con i piedini freddi o l’appellativo di zitelle inacidite quando, in realtà, sanno che non c’è trippa per gatte perché considerate, dal macho che tanto le “attizza”, rimanenza di magazzino. Troppo servizievole, troppo remissivo, pronto a tutto pur di regalarci la luna … a  lungo andare soporifero! In definitiva che vogliamo? Forse non lo sappiamo nemmeno!

Carla

Svecchiati Carla!!!!

Mi sento lievemente demodé, non al passo con i tempi! È la mia sensazione personale o è veramente così? Osservando un gruppetto di bambini giocare e chiacchierare, qui sotto casa, mi sono domandata: “Dove sono finiti i piccoli di una volta?”. Sembrano creature altamente tecnologiche, parlano in codice e ti fissano come un pezzo da museo, tarlato e rumoreggiante, se non rispondi, battendo il primato di reazione umana, alle loro sparate. Basterebbe provare a comprenderli, scoprire il meccanismo con cui elaborano ciò che gli ruota attorno … Fosse semplice! Sbaglio o ai miei tempi si sapeva usare di più la fantasia? Si era felici con piccoli giochi, inventati con mezzi di fortuna! Provaci adesso, ti compilano, anche senza saper né leggere né scrivere, la scheda per un ricovero immediato! Pensate soltanto alle nostre fiabe, quelle che ci accompagnavano tra le braccia di Morfeo con il sorriso sulle labbra, oggi per fargliele digerire andrebbero riviste e “stravolte”.

–          Cenerentola, per recarsi al ballo e rimorchiare l’uomo della sua vita, alla Fata non chiederebbe mai un abito elegante, finemente cucito a mano quanto, piuttosto, una Lamborghini, ultimo modello, ed un efficacissimo elettrostimolatore per rimodellare i glutei e risollevare il seno. Uno straccetto, dopo, andrebbe più che bene!

–          Cappuccetto Rosso, non si sognerebbe d’attraversare il bosco a piedi, esigerebbe il motorino e alla nonna manderebbe un MMS con il nuovo iPhone, piuttosto che starla ad ascoltare mentre sclera!

–          Il Gatto con gli Stivali, si vergognerebbe come un ladro ad indossare una calzatura vintage e pretenderebbe le Geox, indispensabili per far respirare le zampine!

–          Biancaneve, continuerebbe a russare come un camionista stanco e reagirebbe con aggressività inaudita se un Principe provasse a risvegliarla. Aspirerebbe al bacio di un calciatore di serie A, pronto a sussurrarle all’orecchio non un banale “per sempre” ma il PIN col quale consentirle di prosciugare il conto in banca!

–          La strega cattiva, non domanderebbe più ad uno stupido specchio “Chi è la più bella del reame?”, cercherebbe in rete un chirurgo plastico, di fama internazionale, per una restaurata totale e partecipare a Miss Italia o le selezioni di Veline.

È il caso che mi svecchi un po’?

Carla

Momenti …

Albeggia … stamani non riesco a scorgere il sole, la nebbia, fitta e densa, come le nubi che portano pioggia, avvolge il paesaggio di sempre. M’incammino tra gli alberi di un piccolo bosco, dove adoro passeggiare, sentire il cinguettio degli uccelli, il rumore di un piccolo corso d’acqua, accarezzato, più di una volta, a piedi nudi, saltellando tra i sassi lisci e perfetti, come i miei giorni. L’odore della terra, ora, è forte, come se i vapori che la vestono la scuotessero e ne disturbassero il meraviglioso torpore che la contraddistingue. Ho paura e mi muovo piano, ponderando ogni passo e prego, prego DIO affinché, attraverso le fronde che a stento permettono l’ingresso della luce, m’invii un suo raggio di sole, immenso e ben delineato, capace di dissolvere ombre e incertezze, in grado di illuminare un tracciato che mi tatui di serenità l’animo.

Carla

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Nel mio animo esiste, realmente, quel giardino dove al posto dei boccioli e delle piante sempre verdi, attecchiscono, rigogliosi, “pensieri & sentimenti”, nutriti da una terra che è la mia forza e il mio istinto, terra che non conosce aridità e, senza eccezione, produce qualcosa di nuovo e cristallino, quella linfa che in sé racchiude il segreto della vita. Il vento soffia, qualche volta tiepido e leggero, altre freddo e minaccioso ma, incessantemente, trascina un desiderio che non conosce valide ragioni per lasciarsi morire … Il mare, il suo offrire emozioni, le sue mani di schiuma bianca, le sue parole spruzzate di sabbia dorata, sono la voce della mia memoria, scintille d’amore che sfidano il tempo, che sembrano non conoscere l’opera corrosiva di realtà intrise di egoismo e gratuita cattiveria. Come una foglia, mi lascio trasportare dalla spinta di una brezza profumata e familiare, sperando di cadere là dove i sogni non corrono il rischio di appassire.

Carla

Odio … Amore e un 34!

Rido! Rido, pensando al titolo del Post di oggi che termina con un ambiguo 34! Di cosa si tratta? Detto così vengono in mente diverse risposte … Caspita, un 34!!! E, noooo, non ha a che fare con dimensioni anatomiche generose e nemmeno con desideri erotici inconfessati, non aspiro all’uomo dello spot “Una patatina tira l’altra”. Non è nemmeno la mia età e non mi dispiacerebbe poter spostare indietro le lancette, avendo scavalcato gli anta … Ho 34 nei col  pelozzo ribelle al centro? Naaaa, non sono una Belen ma, ringraziando la magnanimità di madre natura, nemmeno la Bertuccia del ragionier Fantozzi. Mi sono rimasti 34 capelli? Potrebbe anche essere, ma di un bel castano scuro, lisci, setosi e assolutamente naturali. Sono, effettivamente, così ma non devo dividerli con la riga in mezzo, 17 per parte, perché ne ho ancora più di quell’infelice numero. E allora, cosa sarà mai questo benedetto 34? Gente, ebbene si, calzo 34!!! Ohhh (manina sulla bocca), poverella è alta 1 metro e una spanna? Lo avete pensato, lo avrei pensato pure io! È una gnoma (esiste il maschile di gnomo?)! No, no, no … non sniffo le nuvole ma non respiro nemmeno ad altezza marciapiede … Se accantono il mio costante prendermi in giro, trattando la “rognetta” in maniera seria, mi strappo i capelli arrivando ad averne, davvero, 34. Mi manca una superficie d’appoggio adeguata ad una altezza media, tant’è che anche l’inclinazione data da un ridicolo tacco 8 mi lascia la possibilità di poggiare poco più delle ditina e, questa è fisica, col baricentro andato a farsi benedire, il lato “b” si sposta all’indietro e il musetto segue la traiettoria che punta il suolo. Ok, con un po’ di esercizi circensi s’impara e, sfoggiando una sensualissima camminata alla “preparazione h”, si evita di baciare terra ogni tot metri. Il dramma, quello reale, è che le calzature per un piedino da donna bonsai sono inesistenti e, se ci sono, sono brutte, dall’aspetto ortopedico o da bambino/a. Agli uomini piacciono le donne col piedino piccino, curato e affusolato, che consolazione eh? Di sicuro non ho due panzerotti, coi calli, i talloni screpolati e lo smalto colorato rosicchiato, ma rischio di andare scalza. Nei negozi comuni, quelli dove dal 36 al 42 si trova tutto, posso rimediare le Lelli Kelly o le Hello Kitty che non mi sembrano tanto femminili e seducenti, sbaglio? È imbarazzante accomodarsi per provare un 35-36, dentro i quali navigo,  con accanto una mocciosa di 7-8 anni che sghignazza, beh, lei rispetto a me ha due zattere che calzerebbero perfettamente quel paio di scarpe rosse, tacco 12, che desidero da una vita!

Carla

Scoppia un incendio!

Scoppia un incendio nel quale nessuno rischierà la propria incolumità ma le fiamme, nel loro avanzare inesorabile, divoreranno tutto il resto. Dal fumo, denso, che si è propagato rapidamente, si fa strada una sagoma umana, sconosciuta e quasi surreale che, dopo averci rassicurato che tutti i nostri cari, animali compresi, sono in salvo, ci rivela di possedere il potere di ibernare il tempo per una manciata di minuti, pochi ma sufficienti a permetterci di rientrare in casa, in totale sicurezza, per salvare 3 sole cose a cui teniamo smisuratamente e senza le quali non saremo capaci di risorgere dalle ceneri, proprio come l’Araba Fenice. Uno zaino, di media capienza, il contenitore a nostra disposizione, cosa lo andrà a riempiere  e perché?

Il mio conterrà:

Fotografie –Filmati e registrazioni audio – Una chiavetta usb che custodisce copia di tutti i miei racconti, poesie e pensieri.

Il perché è semplice, il resto può essere riacquistato, anche con sacrifici immensi, i volti e le voci di chi amo ed ho amato, così le pagine del mio cuore, nessuno potrebbe restituirmeli.

Il vostro?

Carla

Lo vidi

Lo vidi,

germogliare e fiorire,

tra i dirupi di una terra arida.

Lo vidi,

vivere e gioire,

attraversando verdi distese,

perdendosi tra cielo e mare.

Lo vidi,

ferito ed umiliato,

fuggire tra i foschi vicoli del dolore.

Lo vidi,

arrampicarsi su un muro scalcinato,

perdere l’equilibrio e cadere.

Lo vidi,

agonizzare e morire.

Lo vidi e lo riconobbi …

… era l’Amore!

Carla

Gioele e la Dama del ruscello 3° ed ultima parte

Dolorante ma non scoraggiato, trovò uno spiazzo dove sedersi, dalla borsa estrasse il fazzoletto, lo bagnò con l’acqua e lavò, accuratamente, i graffi. Il pezzetto di stoffa, che non aveva perso i suoi poteri, cancellò i segni della caduta. Con l’aiuto del coltellino s’aprì un varco tra le erbacce, con la corda risalì e, dopo aver cambiato la camicia strappata, si rincamminò.

E’ stata fortuna la tua!” disse la voce, con un tono dispettoso, aggiungendo – Le sorprese non sono finite, amico mio, ed è presto per dire se hai vinto tu o ho vinto io! –

Da un ramo, stretta con un nastro nero, pendeva una pergamena. Gioele la prese e srotolandola poté leggere un gioco di parole che, risolto, gli avrebbe concesso di continuare il viaggio. S’accomodò su un sasso, piatto e liscio, e sgranocchiando una mela, illuminato dalla luna, trovò, rapidamente, le rime che lo completavano.

– Ho  la soluzione! – urlò, felice.

Tenendo il foglio ben disteso, con voce forte e chiara, ripeté: “ Ciò che cerchi lo tengo ben nascosto e non tra i nascondigli del tuo BOSCO. Nemmeno tra i monti, su un’altura, ma all’interno di queste grigie MURA. La libertà che aspetti non è lontana ma a bagno dentro una FONTANA”.

Su una parete rocciosa comparve una  porta scura e la chiave di Ljuba riuscì ad aprirla. Gioele la varcò, sentendola sbattere dietro le spalle, ritrovandosi davanti ad un corridoio, freddo e lungo, illuminato, a stento, dalla luce di una candela.

– Quando la fiamma della candela smetterà di bruciare, arriverà l’alba a mettere fine alla nostra sfida” tuonò la voce.

Il cuore di Gioele ghiacciò. Aveva capito che il suo destino stava per compiersi e che avrebbe dovuto usare intelligenza, furbizia e velocità per non ritrovarsi perdente. Raggiunta la luce, trovò un cortile, attorniato da mura, alte e grigie, al centro del quale primeggiava una fontana. Sollevò lo sguardo al cielo, realizzando di non avere molto tempo e che il sole non si sarebbe fatto attendere. Ripensando ai versi della strana filastrocca, associò la libertà al cuore di cristallo e la fontana al luogo che lo custodiva.

– Non c’è il secchio, ed io ho solamente la corda! – disse, nell’impazienza di trovare un mezzo idoneo.

Al collo portava la lacrima di Ljuba e, nello sfiorarla con le dite, ebbe una folgorazione.

– Aiutami, sciogli l’incantesimo e trasforma la tristezza in gioia! – recitò, lasciandola cadere nell’acqua.

Fiori variopinti e musiche celestiali salirono dal fondo, galleggiando nell’aria e profumandola di bosco. Il cuore di cristallo, emerso per ultimo,  volteggiò, leggero, andandosi a posare sul suo petto.

Non permetterò che tu lo porti via. Non avrai la donna che doveva essere mia! – strillò, rabbioso.

Una figura, altissima e muscolosa, protetta dalle ombre, apparve dietro alla fontana., sentenziando – Non giocare con me, amico mio, ciò che vuoi tu lo voglio anch’io –

La fiamma s’affievoliva ed il cielo schiariva,. Gioele rovistò nella borsa ed afferrato l’aquilone vi legò, saldamente, il cuore, lasciando fuggisse guidato dal vento. Loris era stato sconfitto!

L’uomo fuggì, lanciando terribili maledizioni che, ormai, non potevano più fare del male ad alcuno, perchè del suo regno non restarono che le rovine. Si era fatto giorno e Gioele, con passo spedito, si diresse verso il bosco, ripercorrendo la strada che lo aveva portato fino a lì. Il sole saliva, arrampicandosi sulle montagne, ed il rumore del ruscello diventava sempre più forte. Ljuba, china sulla risa, infilò le mani nell’acqua, pescandovi il cuore di cristallo.

– Prendilo, t’appartiene! – disse, offrendolo all’amato.

– Andiamo a casa, è ora di colazione! –

Nessuna risposta poteva essere più chiara!

Carla (2004)

Gioele e la Dama del ruscello 2° parte

Il volto di Gioele, nell’udire quelle parole, si fece cupo. Non poteva più sopportare d’incontrarla per caso!

– Ti supplico, non fare tante domande. La mia sorte è decisa e non si può riscriverla solo perché lo si desidera! –

Con il pianto che le rigava il volto, fuggì, senza aggiungere altro, lasciando tra i fili d’erba una lacrima che, al contatto con l’aria, si era trasformata in una perla. La sera, Gioele, tenendo tra le dita quella goccia di dolore, andò a sedersi sulla sedia a dondolo che stava sotto il porticato e fissando la luna, l’amica alla quale rivolgeva, spesso, i pensieri, le domandò un gesto che l’aiutasse a prendere una decisione. Fu allora che dal cielo scivolò giù una stella, andandosi a posare sul suo cuore. La mattina seguente, prima che la luce potesse dargli il buongiorno, raggiunge il ruscello e si mise ad aspettarla. Ljuba, senza spaventarlo, lo sorprese arrivando alle sue spalle.

– Possiedi una grande qualità, la tenacia, ti è stato mai detto? –

Gioele si voltò e, regalandole un sorriso luminoso,  rispose.

– Ho fatto chiarezza nel mio cuore e sono qui per chiederti di dividere con me la tua vita –

Il viso della ragazza si fece triste.

– Non desidero altro ma la realtà mi costringe a chiederti di dimenticarmi. Darti una spiegazione non cambierebbe nulla, rassegnati! –

Non ti lascerò andare finché non saprò cosa c’impedisce d’essere felici! –

Ljuba respirò, profondamente,  ed afferrando le mani di Gioele, trovò il coraggio di raccontare la sua triste storia.

 – Non ricordo più da quanto tempo vivo tra le frescure di questo bosco. Fui promessa sposa, quando ero ancora bambina, a Loris, un ricco giovanotto, convinto che il denaro può comprare tutto. In occasione del mio diciottesimo compleanno s’organizzò  la festa del nostro fidanzamento e quando Loris, riempiendo il calice, brindò alle nostre nozze, non mi fu più possibile tacere. Il mio rifiuto vestì ogni cosa di terrore e, finalmente, nel vedere la malvagità di quell’uomo, tutti capirono quel che io avevo sempre saputo. Alzò le braccia al cielo ed una palla di fuoco scese tra le sue mani, ci soffiò ed allo spegnersi delle fiamme mostrò, a tutti, un cuore di cristallo, il mio. Lo gettò nelle acque che bagnano le nostre terre e al calare della sera mi ritrovai in questo posto. Solo il vero coraggio potrà sciogliere il sortilegio che m’imprigiona  –

– Non ho paura, dimmi cosa devo fare! – replicò, abbracciandola.

Gioele avrebbe dovuto attendere il calare del sole, incamminarsi verso il rosso del tramonto e al sopraggiungere dell’oscurità, affrontare le tre prove che la cattiveria di Loris aveva escogitato.

– Porta con te queste cose, ti saranno utili! – gli disse, porgendogli un sacco di tela, che conteneva una chiave, una corda e un aquilone.

Giole la salutò, promettendole che sarebbe tornato vincitore, e rincasò. Preparata la borsa, con all’interno il sacco ricevuto in regalo, dei viveri, una camicia pulita, un coltellino, e il fazzoletto bianco, che considerava un portafortuna, cenò ed appena il sole iniziò ad abbassarsi all’orizzonte, tornò nel bosco. Ljuba lo attendeva sul bordo del ruscello.

– Stai attento, Loris, non conosce la pietà! –

Domani mattina sarò di ritorno ed andremo a casa! – le sussurrò, accarezzandole i capelli.

Il buio arrivò in men che non si dica, accompagnato dai rumori che Gioele non aveva mai udito.

Come osi entrare nel mio regno! –  tuonò una voce, proveniente da lontano – Vattene finché sei in tempo! –

– Pensi di spaventarmi? Dovrai vedertela con me, Loris! –

– Non dire che non t’ho avvertito! –

Un vento pazzesco lo sollevò da terra, lasciandolo ruzzolare in un dirupo, dove, cespugli spinosi e sassi aguzzi gli procurarono numerose ferite. 

– Ah, ah, ah, prova a risalire, povero pazzo! –

Carla

Gioele e la Dama del ruscello – 1° parte

Passeggio tra le vostre parole da poco più di un mese, raccogliendo emozioni e sorrisi. Ricambio, regalandovi una delle mie “creature”, una fiaba che fa parte di una antologia, pubblicata qualche anno fa. Amo scrivere e farlo per i bambini in modo particolare! I frutti della fantasia, spessissimo, non hanno un ritorno economico, neanche minimo, ma poco importa. Eccovi la 1° di 3 parti …

In prossimità di un bosco di abeti bianchi, in una casetta giallo ocra, viveva Gioele, un giovane taglialegna. Ogni mattina, al sorgere del sole, scendeva giù dal letto, e dopo aver fatto una doccia calda ed una veloce colazione, riempiva il cestino del pranzo ed usciva per andare a lavorare.  Adorava il suo mestiere, che gli permetteva d’ascoltare i rumori del bosco, le voci di tutte le creature che lo popolano, d’annusarne i profumi e di giocare, con la fantasia, perso tra ombre e colori. Amava la natura a tal punto che gli alberi erano i suoi più cari amici ed averne cura lo rendeva felice, non facendogli pesare la fatica. La legna che riusciva a ricavare la vendeva al mercato, del paese vicino, serbandone una parete per scaldarsi nelle fredde sere d’inverno. Non era interessato a possedere chissà quali averi e il suo desiderio più grande era solamente uno, quello di metter su famiglia. Un pomeriggio, mentre accatastava, sul vecchio camioncino, i rami tagliati nel corso della mattinata, alcune grosse schegge gli ferirono il palmo della mano. Non avendo nulla di pulito con cui medicarsi, si diresse al ruscello, che attraversava il bosco, s’inginocchiò sul terreno ed immergendo la mano nell’acqua, lasciò che scorresse, lavando la ferita.

Sono il solito sbadato – ” pensò – Nei prossimi giorni come potrò lavorare? –

Ragionava, preoccupato, quando, sullo specchio d’acqua, vide riflessa la sagoma di una persona. Voltandosi, restò senza parole! Era la ragazza più bella che avesse mai visto. Indossava un vestito di seta, dello stesso colore del sole, aveva lunghi capelli, biondi e ricci, che le cadevano sulle spalle, gli occhi azzurro cielo e la pelle luminosa e delicata come i bagliori della luna. Le sorrise e lei, ricambiando, in silenzio, gli bendò la mano con un morbido fazzoletto bianco.

– Come posso sdebitami? – chiese, imbarazzato. 

La fanciulla lo zittì, posando la mano sulle sue labbra, e soltanto nel sentirlo strillare – Mi chiamo Gioele ! – mentre la guardava allontanarsi, gli rispose, senza voltarsi – Io Ljuba! –

Tornato a casa, nel levare le bende, s’accorse che delle ferite non era rimasta traccia, rendendosi conto di non aver incontrato una persona qualunque, ma qualcuno di veramente speciale. La notte, non riuscendo a dormire, la trascorse in veranda, in compagnia del cielo stellato, della voce del vento, che soffiava leggero come una carezza, e di mille sogni fatti ad occhi aperti. Il desiderio di rivederla lo aveva mandato in una tale confusione che, la mattina seguente, scordò, sul tavolo della cucina, il cestino del pranzo. Tornò sul luogo dove l’aveva conosciuta, guardò tutt’intorno, la chiamò, ripetutamente ed a gran voce, restando deluso. Quella splendida creatura sembrava non essere mai esistita! Il caldo, l’assenza della brezza, che solitamente attraversava le foglie producendo quasi una musica, il duro lavoro e la fame, lo misero di cattivo umore.

Ma chi me lo fa fare a star qui a spaccarmi la schiena? Torno a casa, mangio e mi faccio una bella dormita! –

Hai scordato il pranzo, vero? Non ho molto da offrirti, ma serviti pure –

Ljuba era lì, a pochi metri di distanza, e tra le mani reggeva un cesta colma di frutta freschissima. Restò senza parole, anche in quella occasione! Era la seconda volta che lo aiutava in un momento di difficoltà. Compariva all’improvviso e, nello stesso modo, se ne andava, travolgendo il cuore di un boscaiolo solitario che, nel suo sguardo, timido ed ingenuo,assaporava una irrinunciabile magia. Ljuba, dal canto suo, lo vedeva come un cavaliere delle fiabe, coraggioso e nobile d’animo, bello come un principe azzurro: alto, dai capelli neri, corti e spettinati, con gli occhi verdi, la pelle scura e un sorriso rassicurante. Seduta ai piedi di un albero aspettò che finisse di mangiare.

– Posso riprendere il cestino? –  domandò, con un filo di voce.

– Devi andare via? – le chiese, con tono angosciato.

– Devo ritornare al ruscello, è quello il mio posto! –

Carla

L’ascella omicida

L’inverno è arrivato, che gioia! Non amo il freddo, non l’ho mai amato, m’infastidisce infagottarmi, assumendo le sembianze di un sexy cotechino, lottare furiosamente con un ombrello che il vento usa come un foglietto da origami, sfidare la sorte e strisciare come un bruco lungo i muri, distante dai bordi dei marciapiedi, sperando che nessun utente della strada prenda in pieno una delle tante pozzanghere, che celano manti sempre più di frequente gruvierizzati, regalandomi una doccia gratuita. La libertà e la leggerezza degli abitini estivi, i vivacissimi bikini, i pareo, dal loro asettico sottovuoto, sprigionano una malinconia che riesco quasi a tagliare a fette. Il calore del sole sulla pelle, il suo aspetto cioccolatoso, gli aromi dei solari, le essenze, che indossate come una seconda pelle, accarezzano i sensi, trasportate dalla brezza della sera, scolpiscono frasi poetiche nel mio animo. Di solito va così e chi non è idrofugo e non ha aperto le ostilità verso il sapone, profuma di pulito, per la pace dei nasini che incrocia. L’estate dovrebbe essere il periodo in cui lascia il semi-letargo l’ascella omicida, uno strano animale dotato di pelliccia o completamente glabro, che con il suo diverso olezzo è in grado di far impallidire una puzzola sul piede di guerra. Ehhhh no! Talune di queste simpatiche “bestiole” non conoscono cicli e non intimorite, neanche dal gelo più pungente, danno segni di vita anche al culmine dell’inverno. La doccia o un  bagno possono essere considerati un rito quotidiano o un appuntamento bimestrale, sono a favore della piena autogestione della propria igiene personale, ma un minimo di rispetto per i gusti di chi non ama il rancido e la cipolla stufata dove sta? Nei luoghi al chiuso ed affollati, mi capita d’inciampare sul quel genere di fetore, con una frequenza non proprio irrilevante. Passi il lavoratore che si è sbriciolato la schiena tutta una giornata, tirando su pesi, mettendo a dura prova la tenuta dei pori e che fa un acquisto al volo o paga una bolletta, prima di scappare a casa e ripristinare le condizioni originarie, ma la vampettona con il giacchetto di pelliccia, la minigonna inguinale e i trampoli ai piedi, lei proprio no!!! L’oggetto più pesante che ha sollevato nelle ultime otto ore, lo si intuisce, è lo spazzolino del mascara … che abbia sudato facendo le acrobazie sui tacchi? No, no, le piace poco lavarsi e, spesso, insabbia questa sua predilezione con delle abbondanti vaporizzate di profumo che, ahimé non coprono l’inizio della decomposizione ma la amplificano. Mi verrebbe da domandarle se è  in regolare possesso di porto d’armi! Il top, io, ho avuto la sfiga cosmica ti toccarlo con “mano”, è proprio il caso di dirlo, quando mi è stato presentato un  tizio che, oltre a diffondere zaffate di cane bagnato, aveva il palmo della mano freddino e viscoso come la pelle dell’anguilla. Possibile che i familiari, un marito, una moglie, reggano simili assalti? Avrei qualche problemino a star vicino ad un uomo che sa di andato a male e con una sola carezza mi unge i capelli … “L’omo p’esse omo addà puzzà!”  … chi lo ha detto aveva l’olfatto fuori uso o era autolesionista!

Carla